Si sono trovate soluzioni e salvaguardie quasi per tutti, per i poligrafici e per i prepensionandi. Ma non per una categoria che in questi anni è tristemente andata infoltendosi: quella dei giornalisti esodati. Sono le vittime delle crisi aziendali selvagge, vittime delle leggi fallimentari che non tutelano più i dipendenti. Sono quelli che si sono trovati per strada senza un lavoro, senza pensione e senza futuro dopo i 55 anni di età. Fantasmi di fatto e senza più diritti o considerazione sociale. Pesi, palle al piede. Troppo vecchi per ricollocarsi nel momento in cui le aziende editoriali smaltiscono il personale di questa generazione; troppo giovani per aspirare alla pensione. Sono quelli che vivono nel limbo dei senza reddito. E senza busta paga è impossibile cercare anche un affitto. Quelli che grazie alle riforme sanno che questo buio durerà almeno dieci anni, nella migliore delle ipotesi. Questa categoria avrebbe avuto diritto come tutti gli altri alla pensione anticipata se le fosse stata applicata una salvaguardia come è stato per i poligrafici o per chi è nelle liste dei prepensionamenti per stato di crisi. Perché il punto è esattamente questo: non si tratta di persone che si sono trovate a cavallo tra il prima e il dopo di una riforma che inasprisce i requisiti per tutti. Ma di persone a cui si chiede di rientrare nelle nuove regole, mentre per altri si applicano ancora le vecchie.
Quanti sono i giornalisti esodati? Talmente trasparenti che nessuno conosce la cifra esatta. Pochi, in ogni caso. E questo è un bene ma nello stesso tempo anche un male. Non abbastanza per avere rilievo, pochi anche per influire negativamente sui bilanci disastrati dell’Inpgi nel caso in cui si volesse trovare una soluzione di solidarietà. E’ un numero imprecisato di persone che è sfuggito a ogni tutela anche agli occhi del sindacato. Centoottantatré in tutta Italia denunciava la Federazione nazionale della stampa quando nel 2017 si paventò il rischio di una valanga di esodati per effetto della riforma Fornero e di quella dell’Inpgi. Ecco, quelli erano gli altri. Forse qualche disoccupato, ma soprattutto dipendenti di aziende in crisi ma ancora al lavoro, quelli per cui si è trovata una strada con la deroga prevista nel decreto Lotti. Quanti sono rimasti fuori oggi? Attualmente non è dato sapere. Eppure esistono e sono degni di tutela quanto gli altri soprattutto in un momento così nero per l’editoria, quando le aziende chiudono e diventa impossibile ricollocarsi, dopo una certa età.
Gli spunti giuridici per trovare una soluzione ci sono. Sono nelle salvaguardie approvate grazie all’intervento del governo. Prima fra tutte la salvaguardia introdotta nella Finanziaria 2018 per i poligrafici. D’accordo, hanno un regime pensionistico diverso, rispondono all’Inps e non all’Inpgi che è un Ente privato. Ma le due categorie, quella dei poligrafici e quella dei giornalisti, ricadono come normativa sotto un’unica legge – la 416/81 – che ne disciplina diritti e doveri. A questa legge (altrimenti non sarebbe potuto essere), fa riferimento il comma 154 della Finanziaria 2018 che ha allargato la platea di quelli che possono andare in pensione in deroga alla Fornero, ma anche e soprattutto in deroga alla riforma del 2013 (compreso il decreto Napolitano 28 ottobre 2013 n. 157 approvato con la legge di Stabilità nel 2013) che hanno inasprito molto i requisiti di legge per il trattamento pensionistico. Cosa dice il comma 154? Dice che le regole pre-riforma si applicano ai dipendenti delle imprese editoriali che siano entrati in Cassa integrazione (e che non abbiano trovato lavoro) tra il primo gennaio 2014 e il 31 maggio 2015 purché ricorrano le condizioni previste dall’articolo 35 della legge 416/81, cioè purché sussistano la Cigs e lo stato di crisi aziendale. Questo esodo è stato finanziato fino al 2022 ed è la seconda deroga approvata per i poligrafici dopo quella del 2016. E’ vero che fa riferimento a un decreto legge che riguardava solo Inps, ex Enpals e ex Inpdap. Non l’Inpgi. Ma è altrettanto vero che c’è una sola legge che disciplina due categorie diverse e che la deroga o salvaguardia – previste da quella legge – adesso si sta applicando per una sola di queste.
Se la stessa norma venisse estesa anche ai cento, forse meno, giornalisti senza terra, a questi verrebbe concesso di andare in pensione non tra un secolo (a 67 anni più aspettativa di vita), ma con meno attesa. E cioè, come dice sempre la 416, a 58 anni per le donne e 60 per gli uomini con un minimo di 25 anni di contributi.
Il secondo spunto è dato da quanto prevede il decreto Lotti entrato in vigore il 13 maggio 2017 per le aziende che hanno presentato domanda di stato di crisi entro il 31 dicembre del 2016. Anche questa si chiama salvaguardia. Perché disciplina, in deroga alle due riforme Inpgi e Fornero, che tutti i giornalisti inseriti nelle liste di prepensionamento dalle loro stesse aziende entro quella data, o i disoccupati che entro il 21 febbraio 2017 avessero maturato i vecchi requisiti di accesso, possono andare in pensione a 58 anni se donne e 60 se uomini, sempre con 25 anni di contributi. Parliamo dei requisiti previsti dalla legge 416/81 all’articolo 37. E questi sono i famosi esodati su cui la Federazione nazionale della stampa e l’Inpgi stesso avevano lanciato l’allarme un anno fa. Una vittoria del sindacato, certo. Ma forse è bene annotare due cose. La prima: se la tutela era doverosa per i colleghi che altrimenti si sarebbero trovati fuori dal mondo del lavoro e fuori dalla pensione, è anche vero che si parla di persone ancora operative e al lavoro per la stragrande maggioranza. Colleghi prepensionandi appunto per le aziende in crisi. La seconda: a chi è stato fatto il favore? Anche a quelle stesse aziende che si sarebbero trovate scoperte se il famigerato decreto Lotti non avesse specificato che la deroga riguardava tutte quelle imprese che avevano presentato domanda entro il 2016 “ancorché in attesa di approvazione”. Dentro ci sono i piccoli, ma anche i grandi gruppi editoriali.
Come si è risposto fino ad oggi alla domanda degli esodati? Con il silenzio. Mentre si dava corso alle varie deroghe, il Ministero ha concesso una sola salvaguardia ai giornalisti e imposto requisiti tanto stretti quanto impossibili da raggiungere: 57 anni di età e ben 35 di contributi. Non ci vuole un genio per capire che, in un mestiere al quale per anni si è avuto accesso solo con la gavetta in nero e più spesso gratis, domandare 35 anni di contributi a 57 anni è come garantire chi nella vita ha fatto il giornalino di scuola e su questo si è fatto riconoscere il praticantato.
Serve dunque altro. La questione è stata posta da Stampa Romana nel gennaio scorso: “Chiediamo alla Fnsi e all’Inpgi di attivare una rete sociale per i colleghi espulsi dal lavoro. Chiediamo di poter applicare anche a questi una norma analoga a quella prevista per i poligrafici”. Ancora è stato silenzio e alzate di braccia. Eppure se è vero che tutti i diritti sono degni di ascolto, come anche quello dei colleghi più fortunati a percepire l’ex fissa anche utilizzando i soldi del Fondo di solidarietà come si appresta a fare il sindacato, è altrettanto valido e vero che quello stesso sindacato non può voltare la testa al nostro problema, al problema esodati. Perché ci sono, ci siamo, esistiamo.
Esodati invisibili, certo. Ma se sono invisibili gli ex dipendenti, i free lance di oltre 55 anni cosa sono?