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Stati generali editoria: non siano un falso movimento

Da quando frequento stanze sindacali sento parlare degli stati generali dell’editoria. Quando non si trova più un filo con il quale definire la trama del nostro settore, per cucire, rammendare o metterci una toppa, si evoca questa assise in cui sindacati ed editori, governo e protagonisti del mercato, attori politici e associazioni di settore troverebbero un momento alto di confronto per uscirne con una sintesi per dare prospettive alla nostra comunità e qualche risposta.
Ne ho sentito sempre parlare, invocate da editori grandi e sindacalisti piccoli o viceversa, ma sono rimasti gli stati generali una chimera, un miraggio.
Improvvisamente da lunedì 25 marzo si materializzano.
Il Governo del cambiamento li aveva promessi in diversi passaggi di questa legislatura centrando per il momento almeno l’obiettivo della partenza alla presenza del Presidente del Consiglio Conte, padrone di casa.
Le informazioni in nostro possesso indicano questo percorso.
Si svolgeranno consultazioni digitali di un paio di mesi, seguiranno tavoli di lavoro tematici in cui operare una prima sintesi a cavallo dell’estate, due o tre disegni di legge in chiusura alla ripresa a settembre chiuderanno il percorso.
Alcune fonti ci dicono che non ci saranno schemi di gioco prestabiliti. Gli spazi per la discussione saranno liberi e aperti senza soluzioni prefabbricate.
D’altronde la realtà impone una agenda da far tremare i polsi. Due enti di categoria per diverse ragioni sono in bilico: Ordine dei giornalisti e Inpgi. Il sindacato non sta molto meglio per i fondamentali del settore. L’occupazione si è ridotta con i rapporti di lavoro subordinati riconosciuti da Inpgi avviati a scendere al di sotto delle 15mila unità. La crisi dei modelli produttivi è continua e inarrestabile. La riduzione fino alla scomparsa del finanziamento pubblico per il pluralismo farà danni presto a iniziare dalla dead line a maggio di Radio radicale. La mancanza di compensi equi per i lavoratori autonomi compromettono dignità e qualità dell’informazione. La assenza di risposte sul fronte della depenalizzazione della diffamazione, delle querele temerarie, della protezione delle fonti ci allontanano dall’Europa. Il perimetro dell’informazione primaria si riduce costantemente. Un senso di smarrimento, di inquietudine se non di impotenza agita una comunità sempre più offesa da delocalizzazioni, licenziamenti, usi distorti degli ammortizzatori sociali.
In un quadro del genere è ovvio che gli stati generali non possano e non debbano essere una passerella. In ballo c’è il futuro industriale del nostro settore nell’epoca della rivoluzione digitale, del cambio di modelli produttivi, della disintermediazione.
Che poi sia tutto da scrivere tra gli attori, che il dibattito sia libero, che non ci siano soluzioni definite significa però non aver ascoltato e frequentato il dibattito pubblico degli ultimi mesi, sottovalutando le prese di posizione del sottosegretario Crimi.
Due sono gli elementi sui quali certamente punterà l’arbitro del settore: mantenere se non addirittura potenziare gli sgravi fiscali sulla pubblicità per favorire i quotidiani, agendo anche sul fronte delle edicole. Stimolare produzione e vendita non con il finanziamento pubblico agli editori ma attraverso un bonus al consumo per i lettori.
La prima strada ricalca le mosse di Luca Lotti, applaudita dalla Fieg.
La seconda è tutta da costruire e verificare e si muove comunque in una logica di mercato che non tiene conto delle differenze culturali che il nostro mondo reclama come stimolo democratico.
Stampa Romana farà sentire la sua voce. Abbiamo elaborato in questi anni numerose proposte su argomenti diversi, tutte preparate con una visione complessiva sia sulle risorse del sistema (aggredendo gli over the top sul piano fiscale e della leggibilità degli algoritmi) sia sul valore costituzionale della filiera produttiva (vedi la legge sulle agenzie di stampa), sia sui giusti compensi per il lavoro non subordinato, l’anello più debole e ricattabile della catena.
Ci auguriamo tutti che non siano gli stati generali dell’editoria un falso movimento.

Lazzaro Pappagallo:
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