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Chi ha visto il Canone Rai

di Lazzaro Pappagallo – Segretario Associazione Stampa Romana

Nella tempesta perfetta dei giorni in cui contemporaneamente quasi tutte le testate Rai hanno cambiato i loro vertici e l’Usigrai eleggeva i nuovi organi rappresentativi, con conseguente produzione e abbondanza di comunicati esterni, non ha avuto la necessaria considerazione il cambio di veste e il futuro assetto del Canone con cui in azienda arrivano i soldi pubblici.
Quanto sia necessario il Canone per la natura di azienda di servizio pubblico di Rai e per il legame che questo crea tra il cittadino (utente? consumatore? azionista? fate voi) e la più grande azienda culturale del paese è superfluo sottolinearlo.


Più utile invece ricordare in quale territorio ci muoviamo e quali rischi scorgiamo all’orizzonte.
L’inserimento del canone nella bolletta relativa all’energia elettrica è stato l’elemento di grande valore industriale della legge che nel 2015, sotto il governo Renzi, ha modificato la governance dell’azienda. Le norme molto discutibili su quest’ultimo profilo perchè hanno rafforzato e blindato il controllo del Governo sui vertici dell’azienda, avevano invece colto nel segno sul versante Canone e sul versante “evasione del Canone”.


Ricorderete le code delle trasmissioni in cui fino a dicembre dell’anno X si faceva appello al senso civico dei cittadini, poi da febbraio in poi dell’anno X+1 al senso civico si abbinavano le sanzioni per il mancato pagamento. Senso civico e sanzioni sono scomparse da quando il Canone era stato gestito con la bolletta elettrica.
In un colpo solo sono stati raggiunti due risultati: da un lato veniva assorbita una clamorosa evasione fiscale nell’ordine di mezzo miliardo di euro l’anno, dall’altro si affidavano risorse a questo punto certe all’azienda in un quadro nel quale Rai per un decennio si era affidata a misure finanziarie per non portare i libri in tribunale e non ripetere esperienze fallimentari sulla scia di Alitalia.


Da quel momento, pur in presenza di azioni per comprimere queste risorse definite e certe tra riduzione del canone, già uno dei più bassi tra i servizi pubblici europei, e una quota da destinare al finanziamento dell’editoria nazionale (misura comprensibile in mercati devastati dal passaggio al digitale, dalla riduzione di altri soldi pubblici e dall’arrivo sul proscenio delle technocorporation ma che escludeva dal novero dei finanziatori i veri depositari dell’oro nero e cioè proprio gli over the top) Rai ha potuto programmare le entrate e definirle nei suoi vari rivoli.
Dal nostro angolo di osservazione la serie di bilanci in pareggio o in leggero utile, con esclusione degli ultimi su cui il Covid ha presentato il conto sul lato raccolta pubblicitaria, hanno indicato una strada virtuosa.
Non mancavano e non mancano le contraddizioni.


Il mix tra danari ricavati sul mercato pubblicitario (e relativi tetti di affollamento in prime time) ed entrate da canone senza una adeguata verifica dei destinatari di queste risorse (lontana l’epoca delle divisioni gestione Celli) non ha migliorato la distinzione e l’imputazione dei centri di spesa. A questo si aggiunge il riconoscimento non esplicito dei rivoli di risorse. Delle risorse disponibili non si è mai saputo pubblicamente quante ad esempio fossero investite e spese sull’informazione, quante sull’informazione prodotta all’interno dei centri di produzione e quante invece destinate al confezionamento di prodotti esterni chiavi in mano, a chi fosse imputabile editorialmente e finanziariamente (cda? amministratore delegato? direttori?) la scelta di come distribuire le risorse o di come tagliare le risorse quando in epoca Covid si sono dovuti fare i sacrifici, chiedendo a tutti i dipendenti di smaltire ferie o di gestire gli straordinari in modo diverso dal solito con la pratica dei tagli lineari.


Le contraddizioni tuttavia restavano all’interno di un paradigma.
Dal prossimo anno il nuovo paradigma cessa di esistere.


Le bollette elettriche non potranno più ospitare un onere improprio. 
Lo dice l’Europa. E l’Europa, mentre lo dice, fa certamente un favore al Governo e ai cittadini alle prese con una robusta spinta inflazionistica innescata dall’aumento dei prezzi del petrolio e dei suoi derivati. E quindi paradossalmente il cittadino potrà pagare di meno o allo stesso modo perchè scompare dalla fattura il Canone.
Che si fa a questo punto? Si torna al bollettino? Si torna al senso civico e alle sanzioni? Con chi si confronterà l’azienda per le modalità di riscossione con una specie di Ritorno al futuro o individuando altri strumenti di finanziamento: lo farà con il Governo Draghi che ha scelto questo vertice aziendale o con altro governo, frutto forse di elezioni, che sentirà meno il vincolo di sostenere Ad e Cda? Rai conserva ancora memoria e centro di riscossione coattiva del canone? Torino lotta ancora con noi?


Mentre descriviamo con una certa preoccupazione quesiti la cui risposta negativa o incerta possono impattare su prodotto e occupazione, avvertiamo che nel frattempo dal 2015 non è migliorata la considerazione pubblica della Rai.
Le campagne ai limiti del grottesco di Striscia la notizia e che producono giusta indignazione tra le colleghe e i colleghi dell’azienda pubblica nascono sempre dalla eco favorevole che trovano nell’opinione pubblica all’insegna del “Dagli al privilegiato, agli spreconi, alle spese ingiustificate”. E certamente in questi anni non tutto è filato liscio (vedi la produzione del programma di Fazio e relativi incredibili compensi). Sarebbe ipocrita negarlo.
Nè ci possiamo nascondere che il patto con l’abbonato Rai ( figura mitologica da recuperare dai nostri archivi) funziona ancora per legioni di 50/60enni ma, nonostante Raiplay, funziona molto molto di meno per chi fa della giovinezza una identità certificata dall’anagrafe o dal consumo radiotelevisivo su piattaforma.


Non può allora essere solo la scelta delle direzioni dei Tg il banco di prova della nuova dirigenza. Fuortes e Soldi dovranno chiedere risorse certe e potranno farlo con più agio e meno difficoltà se garantiranno ai cittadini prodotti, non solo informativi, che descrivano le speranze, i sogni, le paure, le angosce del nostro paese. Recuperando centralità, vocazione, ascolto del territorio. Aprendo le sedi, anche fisicamente, alle migliori energie presenti nel paese. Rappresentando così un hub di produzione e di informazione nelle versioni digitali e possibilmente proprietari (Rai può essere antidoto alla cultura merceologica di Facebook e Google) in cui i mille campanili potranno ricomporre desideri e flusso.


Una sfida impegnativa e necessaria se non vogliamo rientrare nella logica del fortino senza viveri. La logica del razionamento senza rilancio in un panorama da anni non più duopolistico ha un orizzonte corto. E tutti coloro che hanno a cuore le sorti della Rai devono battere senza tentennamenti un colpo.

Lazzaro Pappagallo:
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