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Bilancio Casagit in rosso: i margini per recuperare

di Raffaella Ammirati, delegata Casagit

Le acque in cui naviga la Casagit non sono tranquille. Non sorprende, era prevedibile. E dopo la vicenda Inpgi è chiaro a tutti che i timori di una gestione senza visione prospettica degli enti di categoria sono assai fondati. Casagit non sfugge alle preoccupazioni, nonostante qualche annata anomala che, in fin dei conti, ha rinviato i problemi.

Nel 2020/2021 la pandemia ha creato una ‘bolla’ di sereno sul piano economico, per il temporaneo blocco delle prestazioni che ha fatto accantonare alla cassa circa 9 milioni. Ma i bilanci di oggi ci riportano alla realtà: – 2, 6 milioni nel 2022 ; – 3,5 nel previsionale 2023.  E uno scenario assai preoccupante su cui serve intervenire in tempi rapidi perché senza correttivi abbiamo davanti, in meno di 5 anni, lo spettro di una nuova vicenda simil-Inpgi, che rischia di essere anche più dolorosa considerando l’importanza delle prestazioni sanitarie garantite dalla Casagit, che rappresentano, sempre di più, nell’ impoverimento generale della categoria,  un pezzo importante del nostro welfare.

Gli ingredienti ci sono tutti con un numero sempre minore di contrattualizzati  e giornalisti iscritti – la cassa ha perso circa 800 colleghi in un anno, più 70 pensionati che si sono cancellati – mentre la popolazione che resta invecchia, ha quindi più bisogni di salute e più prestazioni per cui chiedere rimborsi. A questo si aggiunge il fatto che il servizio sanitario nazionale non gode di buona salute e lascia molti bisogni insoddisfatti, con le liste di attesa allungate a dismisura dalla pandemia e ancora non recuperate. Bisogni per i quali si ricorre alla cassa.

C’è poi il tema dei costi della medicina prossima futura (ma bisogna leggere ‘oggi’ perché la scienza corre e le novità arrivano in un anno, non in 10), le cure saranno sempre più di precisione, personalizzate, quindi più care, già attualmente le terapie genetiche costano migliaia e anche centinaia di migliaia di euro per paziente, il farmaco che ha permesso praticamente di eliminare l’epatite C costava inizialmente 40 mila euro a paziente, le Car-T, terapie genetiche su misura utilizzate in alcune forme di tumori del sangue costano molto di più, circa 300 mila euro a paziente. La sostenibilità è quindi uno dei temi da affrontare. Per il servizio sanitario pubblico ma anche per le casse private.

Lo strumento principale su cui oggi i vertici Casagit vogliono puntare è l’allargamento della platea degli iscritti, forti anche di un’offerta competitiva, di una logica che mantiene i principi del mutuo soccorso, consentendo di assicurare anche in età  anziana e senza la richiesta di dimostrare la buona salute all’iscrizione, come invece è normale per le assicurazioni sul mercato.

Ci è stato garantito che si sta lavorando molto su questo. Ma non abbastanza, secondo l’unanime voce dei delegati di minoranza, visto che il ritmo di crescita delle nuove entrate non è sufficiente al momento a centrare l’obiettivo. Su 52mila 986 assistiti circa il 10% è rappresentato dagli iscritti a piani diversi da quello riservato ai giornalisti. E sono stati 455 in più i non giornalisti iscritti nel 2022 mentre sono usciti 778 giornalisti.

Un punto che, all’assemblea del 13 e 14 giugno ha rappresentato un elemento di confronto ma anche di ‘contrattazione’, con un risultato che mi porta a vedere, pure nel difficile quadro delineato, il bicchiere mezzo pieno. Ottimismo eccessivo? Forse, ma i segnali di un nuovo corso, per quanto piccoli, sembrano esserci. Questi i fatti. All’assemblea Casagit il voto della minoranza a un bilancio negativo e senza prospettive immediate di miglioramento sarebbe dovuto essere evidentemente negativo, tanto più che i tre rappresentanti di minoranza in Cda avevano votato ‘no’ in consiglio perché “non gli era stato consentito di toccare palla”, ha spiegato la collega Stefania Tamburello.

Ma rispetto all’emergenza drammatica della tenuta della cassa alcuni di noi hanno ritenuto necessario provare ad offrire, ancora una volta, disponibilità, seppure condizionata. In più all’assemblea c’era stata anche, a parole ovviamente, l’apertura del presidente Giuliani a un maggiore coinvolgimento della minoranza, oltre alla comune percezione che con questa dirigenza il dialogo sia possibile. Da qui la decisione di astenersi a fronte di un’ulteriore e più chiara dichiarazione del presidente alla collaborazione con la minoranza, che è arrivata. Su queste basi la maggior parte di noi si è astenuta sul bilancio. Non tutti.

Qualcuno ha votato ‘no’, con chiare motivazioni espresse in assemblea. In questa occasione la minoranza, ha potuto fare la sua parte di ‘pungolo’ e, speriamo, potrà farla ancora di più nello sforzo di cercare soluzioni per salvare, e possibilmente rafforzare, la nostra cassa.

Un’ultima piccola nota sull’intervento della segretaria della Federazione nazionale della stampa, Alessandra Costante, che in questa fase, comunque drammatica per la categoria, è riuscita a parlare come un sottosegretario della prima Repubblica: senza praticamente dire nulla. Senza parlare, per esempio, della necessità di far crescere gli articoli 1, anche in funzione di una tenuta della cassa, oltre che per i diritti di chi lavora.

Ci ha però informati che abbiamo un governo di destra e che il mondo della professione è cambiato. La parola contratto, motivo per il quale la Fnsi incassa l’assegno di 600 mila euro da Casagit, ovviamente non è stata mai pronunciata. Ma l’accoglienza è stata fredda anche da parte dei suoi. La sua immagine mentre lascia la sala da sola, senza nessuno che la segua per salutarla (come succedeva invece ai suoi predecessori) rappresenta, voglio credere, un cambiamento tale da consentire, per esempio, alla Casagit di risparmiare il pesante obolo versato a una Fnsi che, tra l’altro, per aumentare il numero degli iscritti  (o fermare l’emorragia) non fa proprio nessuno sforzo

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