Le tre d per vincere il contagio: dati, dati, dati

Di Michele Mezza (articolo pubblicato su Ytali.com) 

 

 

In Francia addirittura si vota, nel Regno Unito s’attende l’immunità di gregge, mentre in Austria e Svizzera si chiudono le frontiere. L’Italia ha chiuso le città, sbarrato i negozi, interdetto i parchi e i giardini, scoraggiando le passeggiate. Ogni discussione filosofica è del tutto capziosa, e soprattutto irritantemente inutile. Contano le bare.

Nello studio pubblicato sull’accreditatissimo sito Medium Thomas Pueyo documenta come il virus stia flagellando l’Europa, dopo aver sconvolto l’Asia. Un lungo saggio che traccia il percorso e la dinamica del contagio attraverso tabelle e data set che disegnano un unico composito ma chiarissimo grafo epidemiologico della pandemia. Spiega Pueyo:

Questo è ciò che si può concludere:
I paesi preparati vedranno un tasso di mortalità dallo 0,5 per cento circa (Corea del Sud) allo 0,9 per cento (resto della Cina).
I paesi che saranno impreparati avranno un tasso di mortalità tra 3 per cento e il cinque per cento circa.
In altre parole: i paesi che agiscono rapidamente possono ridurre il numero di morti di un fattore dieci. E questo considerando esclusivamente il tasso di mortalità. Agire rapidamente riduce drasticamente anche i casi, rendendo la gestione dell’epidemia ancora più semplice.

A sostegno di questa inesorabile conclusione un’implacabile e sintetica tabella che mostra il rapporto fra morbo e distanza sociale.

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Questi dati sono in sé lo strumento primario per vincere questa guerra con il coronavirus. Si tratta di poter cogliere ogni fruscio, ogni segnale debole avrebbe detto McLuhan, per avere la percezione chiara di come si muova quest’invisibile nemico.

I cinesi hanno spiegato dettagliatamente come hanno condotto e vinto la guerra a Wuhan: dati, dati, dati.

Solo mediante una massiccia e indiscriminata scannerizzazione dei comportamenti sociali e di ogni minimo segnale e comunicazione che affiorava dai social si è potuto datare i vari strati dell’infezione, organizzando, dopo la prima sorpresa, una strategia di attacco che mirava ad anticipare le convulsioni che l’epidemia creava in città.

Un tema che oggi è al centro della discussione. Inevitabilmente si pongono questioni delicatissime di privacy, e soprattutto la soglia di un’intromissione nell’intimità più personale diventa quanto mai labile. I cinesi ovviamente contando su procedure e tolleranze molto ma molto semplificate non si sono attardati in questa discussione. Noi dobbiamo invece trovare una bussola che ci permetta di uscire al più presto dal tunnel senza sacrificare valori e diritti, ma nemmeno interessi sociali e funzioni pubbliche.

Tanto più che il tema che abbiamo dinanzi – quale limite alla tracciabilità dei comportamenti individuali – è già stato ampiamente risolto dai grandi service provider multinazionali, che sulla base di una frettolosa e distratta adesione a illeggibili capitolati tecnici procedono alla nostra più totale profilazione.

Oggi poi, gli stessi service provider, si trovano ad essere addirittura approdo di masse imprevedibili di utenti indirizzate nelle loro braccia dalle stesse autorità nazionali di governo, come appare evidente dal piano solidarietà digitale, promosso dal ministero dell’Innovazione, che annuncia servizi di eLearning e di smartworking gratuiti da parte di Microsoft e Amazon. Questi utenti producono quantità imponenti di dati sensibili, proprio quelli che documentano lo stato psicofisico di ogni singolo cittadino, che nelle zone del contagio si trova a destreggiarsi fra i vari servizi digitali per continuare a vivere.

È qui che si sofferma quello che Alex Pentland, il direttore del programma imprenditoriale MediaLab, del MIT di Boston, definisce “Lo Sguardo di Dio”, ossia quella capacità che gli algoritmi predittivi organizzano , profilando ogni individuo, di calcolare cosa stiano pensando i componenti di comunità territoriali, quali un’intera città o un intero paese.

Scrive Pentland , consulente e guru degli OTT, nel suo saggio The Data Driven Societypubblicato sullo Scientific American nel 2013,

per la prima volta nella storia la maggioranza dell’umanità è interconnessa. Di conseguenza possiamo estrarre realtà dalla nostra infrastruttura wireless per monitorare i nostri spazi e pianificare lo sviluppo della società. L’estrazione delle briciole digitali che lasciamo quotidianamente alle nostre spalle quotidianamente ci permette di creare modelli di alta qualità, aggiornati secondo per secondo, delle dinamiche e delle reazioni di gruppo durante lunghi lassi temporali. In sintesi siamo in grado di raccogliere e analizzare dati sulle persone con un’ampiezza e una profondità in precedenza inimmaginabili.

Un quadro senza limiti di questo sguardo divino che non ci lascia mai. Ora, dinanzi a un emergenze epocale, che mette in gioco migliaia e migliaia di vite umane, tutte in base alla capacità di pubbliche autorità di poter comprendere e decifrare l’invisibile sortilegio del contagio.

Un fenomeno che sfugge a qualsiasi forma di documentazione, se non appunto lo sguardo di Dio. Possiamo in queste drammatiche giornate, scandite da cifre raggelanti di decessi e ricoveri, in cui sappiamo che saremo travolti da prossime ondate di infezioni virali che tracimeranno dagli incerti e labili recinti che sono stati eretti per frenare il contagio, non avere la stessa disinvolta e sicura abilità di scannerizzare ogni utente della rete 4, ossia largamente la popolazione colpita dal contagio, di cui parla con tale orgoglio Pentland? Possiamo anche noi non guardare con gli occhi di Dio e capire, come ci chiede disperatamente Thomas Pueyo di capire dove e come sta incubando il coronavirus per poter almeno, ci dice nel saggio che abbiamo citato, di tentare se non di sradicare almeno di diluire, di rimandare la spallata che sconvolgerebbe le nostre infrastrutture sanitarie?

Non è complicato riuscire a fare come in Cina.

Senza l’incontrollabile potere del governo di Pechino, si potrebbe con poche mosse ottenere un flusso di dati che permetterebbe di ridurre, documenta Pueyo, almeno del quaranta per cento le perdite. Innanzitutto bisogna affermare la centralità del governo nazionale nel controllo e tracciabilità di tutti i dati epidemiologici, considerando il diritto alla salute, in questa emergenza, in base all’articolo 32 della costituzione, come un diritto primario, alla pari di quello alla libertà individuale e alla propria privacy. Un richiamo che diventa addirittura pleonastico che si considera, come abbiamo visto, che l’eventuale interferenza che si potrebbe opporre alla strategia pubblica sui dati, si consuma quotidianamente, secondo per secondo, scrive Pentland, da parte di gruppi privati multinazionali che operano solo ai fini speculativi. Proprio l’iniziativa del ministero dell’innovazione che abbiamo richiamato, potrebbe essere battistrada di questa azione di re impossessamento da parte dell’interesse pubblico di informazioni e indicazioni – le poetiche briciole digitali, come le definisce ancora Pentland – essenziali per la nostra sopravvivenza.

Dunque un ruolo primario da parte del governo per dare a sanità e Protezione civile un motore fondamentale per la corsa contro il virus. Un ruolo che deve, concretamente, manifestarsi con una cabina di regia che veda insieme al ministro dell’Innovazione almeno, quello della Ricerca e dell’Università, della Sanità e delle Regioni. Un organismo che dovrebbe rapidamente diventare un impresario straordinario che doti il sistema pubblico di un cloud computing in grado di processare i dati che arrivano, impaginandoli e rendendoli accessibili secondo le declaratorie che verranno elaborate dai responsabili sanitari. Insieme al centro nazionale sarebbe indispensabile un network regionale, con la nomina da parte di ogni governatore di un commissario ai dati, un vero Data Driven Policy Manager, che possa essere il supporto alle decisioni locali integrando il flusso nazionale dei dati con un articolato rifornimento territoriale, che possa far convergere nei database pubblici informazioni di dati delle comunità territoriali e degli incroci fra singoli segmenti dell’amministrazione e i grandi OTT.

Tutto questo va fatto subito ci spiegano gli esperti. L’alternativa è una spirale drammatica, tutta matematicamente raccontata da questa sintesi ancora di Thomas Pueyo:

 se improvvisamente hai centomila persone infette, molte di loro vorranno sottoporsi al test. Circa ventimila necessiteranno di un ricovero in ospedale, cinquemila avranno bisogno di terapia intensiva e mille avranno bisogno di macchine delle quali non ce ne sono a sufficienza ad oggi. E questo è solo con l’ipotesi di centomila casi.

Noi siamo sessanta milioni. Dobbiamo subito sapere come e quando si scatenerà l’ondata. E per saperlo dobbiamo chiedere i dati a chi li ha. E li sta continuando a usare. Senza di noi.

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