Informazione cieca sul clima

di Sergio Ferraris, giornalista scientifico 

Il clima, in Italia, è scomparso dai radar. Tutte le tematiche ambientali sono state spazzate via dal sistema dell’informazione italiano nel momento in cui è arrivata la pandemia, mentre in altri Paesi, come gli Stati Uniti, sono rimaste all’ordine del giorno malgrado le maggiori proporzioni della tragedia pandemica rispetto all’Italia.

Prova ne è il fatto, che la questione climatica è stata un terreno di scontro della contesa elettorale tra Trump e Biden. In Italia, invece, clima e ambiente sono stati emarginati più di prima dalla crisi pandemica. Una responsabilità netta la possiede l’informazione ambientale italiana che negli anni recenti non si è strutturata né sul fronte della conoscenza né sul fronte delle tecnologie. Andiamo con ordine. Sul fronte della conoscenza c’è da dire che non sono state fatte, almeno a mia memoria, indagini sociologiche e di psicologia sociale, non solo sull’informazione ambientale ma addirittura sull’informazione in generale. Il confronto con i soliti Stati Uniti è impietoso.

L’associazione dei giornalisti ambientali statunitensi, un mese prima delle elezioni del 4 novembre, durante un webinar ha presentato uno studio sull’impatto dei contenuti climatici di sei notizie idealtipiche sul clima, diviso per distretti congressuali. I distretti congressuali degli USA, per la cronaca, sono 435. Se la cosa non vi dice nulla immaginate di essere un giornalista di un media locale di Fresno in California, la quale è divisa in 53 distretti, e di dover scrivere sul clima. Ebbene, con due o tre colpi di mouse potete sapere ciò che pensano gli abitanti della vostra zona su sei questioni cruciali sul clima e magari confrontare quell’analisi con quella sugli abitanti di San Francisco sullo stesso argomento.

E non solo. Un direttore può, per esempio, usare gli stessi strumenti per impostare la linea editoriale del media che dirige. In Italia non abbiamo nulla di lontanamente simile e l’impostazione di una linea editoriale, dall’articolo a un nuovo media, è lasciata all’interpretazione personale del singolo giornalista o del direttore.

Un altro fronte sul quale dalle nostre parti si naviga a vista, è quello degli algoritmi per la diffusione delle notizie digitali. Mentre all’estero i media più evoluti usano algoritmi proprietari, tagliati su misura sulla propria platea di lettori conosciuti perché profilati, i media italiani si affidano a software generici, mentre quelli ambientali non utilizzano per nulla questi sistemi. Con il risultato che senza questi strumenti si è assolutamente ciechi, specialmente sul fronte dell’informazione sul clima.

Da alcuni anni la maggior parte dei giornalisti ambientali italiani pensa che la poca diffusione dell’informazione sul clima sia dovuta all’eccesso di catastrofismo che “spaventa” le persone. Una giustificazione semplicistica che non ha molto senso. Gli utenti dell’informazione, infatti, non sembrano particolarmente spaventati quando si parla di crolli, inondazioni, incidenti aerei e altri pericoli, sicuramente più vicini alla realtà quotidiana. Non si capisce perché dovrebbero esserlo per eventi futuri che si manifesteranno tra decenni.

La realtà è che il mondo dell’informazione ambientale italiana non si pone il problema di conoscere ciò che serve, è utile e interessa gli utenti, perché nemmeno questi conosce, in materia di clima per cui non può agire. Si tratta di una doppia cecità colpevole che se proseguirà porterà alla scomparsa l’informazione ambientale in Italia.  

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