“Che lavoro fai?”. “La giornalista”. “Bello! E per quale giornale scrivi?”. “Nessuno: sono un’addetta stampa”. “Ah, e cosa vuol dire?”.
Qualsiasi addetto stampa ha vissuto una conversazione del genere. Ed è giusto così: il nostro è un lavoro dietro le quinte, inadatto a chi vuole essere sempre al centro della scena. Ci chiamano anche portavoce proprio perché “portiamo”, valorizziamo la “voce”, il punto di vista degli altri, di chi rappresentiamo, sia essa una persona, un’azienda, un’associazione e così via.
Ma a volte la nostra abitudine professionale al basso profilo si spinge troppo in là e può danneggiarci, se non riusciamo a prenderci la scena che ci spetta quando si tratta dei nostri diritti. E il danno si riverbera su tutta la categoria dei giornalisti, con conseguenze ingenti.
Mi spiego meglio: quanti di noi addetti stampa del settore privato hanno il contratto giornalistico? La situazione è parecchio drammatica. Questo è confermato dal settore pubblico (in cui vigono regole contrattuali diverse rispetto al privato che non sto qui ad affrontare per brevità), il quale più di altri dovrebbe essere esempio di trasparenza. Eppure da tre anni la Consulta uffici stampa di Stampa Romana sta cercando di censire i colleghi nella Pubblica Amministrazione nel territorio laziale, ma con esiti negativi, a causa della ritrosia da parte degli stessi giornalisti a comunicare pubblicamente situazioni di irregolarità per timore di ritorsioni.
Ed è questo il tema: siamo giornalisti e dobbiamo essere trattati di conseguenza anche dal punto di vista delle tutele e del trattamento economico. L’ingiustizia è tanto più grande se si considera che la nostra professione è in rapida evoluzione e richiede una preparazione sempre più vasta. Molti di noi fanno anche video (testi, riprese e montaggio) per i canali YouTube del proprio datore di lavoro, gestiscono i relativi social network e molto altro. Certamente si tratterebbe di profili professionali diversi (videomaker, social media manager, fotografo), ma l’organizzazione del lavoro odierna richiede che siano tutti ricoperti da una sola persona. E va anche bene, se si paga e tutela l’addetto stampa di conseguenza.
Come sanare questa situazione diffusa di irregolarità? Le soluzioni possibili sono numerose. Una tra tutte, a titolo personale: consentire agli addetti stampa del settore privato di poter segnalare al sindacato la propria situazione irregolare senza subire la “vendetta” del datore di lavoro, ma anzi avendo in cambio un contratto giornalistico e l’illicenziabilità per almeno tre anni.
Come accennavo all’inizio, la battaglia deve essere non solo di noi addetti stampa ma anche di tutti gli altri giornalisti. Infatti, la conseguenza immediata sarebbe un aumento della diffusione del contratto giornalistico e quindi dei versamenti dovuti alle casse dell’Inpgi e della Casagit, le cui condizioni sono note.
Anche nel caso degli addetti stampa, dunque, sarebbe importante e proficuo per tutti i giornalisti condurre una battaglia uniti, con l’orgoglio di categoria che da sempre ci contraddistingue.