Nel Mediterraneo scompare l’informazione sui migranti

di Fabio Greco 

Il Mediterraneo è un buco nero: non sappiamo più cosa accade in quel tratto di mare attraversato da centinaia di migranti, dalla Libia (negli ultimi giorni sempre più dalla Tunisia) fino alla Sicilia: Lampedusa, Porto Empedocle, Pozzallo. Non abbiamo il numero dei migranti: né di quelli imbarcati, né  quello di coloro che sbarcano, come anche il numero di quanti annegano o vengono rispediti in Libia. Non abbiamo fonti ufficiali di informazioni, e perfino nella Gazzetta Ufficiale, regina delle fonti per chiunque voglia conoscere le misure in vigore, non si riescono a trovare le decisioni annunciate sul tema dal governo. Infine, vengono sabotate le fonti non ufficiali di informazioni, fornite da blogger, freelance e giornalisti.
Andiamo con ordine.
Il fermo amministrativo di Alan Kurdi e di Aita Mari – le navi avevano rotto il fronte del non interventismo nel soccorso in mare, deciso dalle ong durante l’epidemia da coronavirus – ha lasciato il Mediterraneo centrale privo delle residue possibilità di monitoraggio indipendente in loco. Se prima, attraverso la presenza di diverse navi delle ong, era possibile avere un quadro dell’evoluzione dei flussi e delle operazioni della Guardia Costiera libica, a cui non di rado sono stati consegnati i migranti in flagrante violazione del diritto internazionale, oggi non resta che affidarsi a uno dei pochi strumenti disponibili in grado di far capire cosa accade nelle zone di ricerca e soccorso (Sar): il tracciamento di navi e aerei sulle piattaforme digitali pubbliche. Da qualche tempo, però, questo strumento è entrato nel mirino di chi non vuole che si sappia cosa succede in mare.
Già un anno fa era stato impedito che una di queste piattaforme, Flightradar, continuasse a tracciare gli aerei di Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, servendosi di dati open source come i segnali dei transponder aerei. A metà dello scorso aprile la censura si è abbattuta sulla piattaforma Flightaware indicando come giustificazione, nel momento in cui traccia, “regole europee sul controllo dei dati”. Eguale buio – ha spiegato Sergio Scandura di Radio Radicale, che segue costantemente questo tipo di monitoraggio  –  era calato a gennaio scorso anche su Radarbox.
Il tracciamento consente al cronista di incrociare i dati dei voli con quelli delle altre piattaforme che seguono le rotte delle navi, e riuscire a capire, grazie anche agli allarmi lanciati dalle imbarcazioni di migranti, se e chi sta operando e con quali tempi. E magari, come è accaduto tempo fa, a intuire che diversi miliziani libici, a differenza dei migranti, vengono trasferiti in Italia per essere curati negli ospedali milanesi e romani.
Un lavoro del genere, già necessario, diventa indispensabile in un contesto in cui le fonti ufficiali non forniscono più informazioni su localizzazioni di imbarcazioni né su eventuali operazioni di soccorso. Paradossalmente, se ne sapeva di più al tempo del primo governo Conte, quando tra i tweet propagandistici di Matteo Salvini e le proteste delle ong si riusciva in qualche modo ad avere un quadro della situazione e anche delle responsabilità. Complice il contenimento da Covid-19, l’attuale esecutivo ha potuto risolvere un imbarazzo politico nel modo più semplice: mimetizzandolo nell’emergenza sanitaria, con il sostegno (involontario?) di ong che hanno deciso di disertare dalle sar (da qui, il divorzio tra Medici senza Frontiere e Sos Mediterranee).
La Guardia Costiera non fornisce informazioni ufficiali, neanche quando dalla Moby Zazà un migrante cade in mare e annega.
E le organizzazioni umanitarie? Se fino a qualche mese fa l’Organizzazione internazionale delle migrazioni e Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati  erano pronti a snocciolare cifre e numeri relativi ai barconi di migranti, oggi bisogna affidarsi ai sempre meno credibili “a quanto si apprende” o “fonti umanitarie”, forse temendo ritorsioni da parte dei governi.  E’ il caso dei migranti a bordo di due imbarcazioni noleggiate da Malta per tenerli lontani dalle proprie acque territoriali; o delle navi-quarantena italiane, del cui arrivo a Porto Empedocle e a Lampedusa nulla il governo ha detto quanto a date, tempi e numeri di migranti imbarcati.

E’ lo stesso governo che ha sfornato ad aprile un decreto di chiusura dei porti, annunciando che l’Italia non è più  un ‘place of safety’, e del quale, un mese dopo non vi è traccia nella Gazzetta Ufficiale.  E’ un provvedimento che fissa norme senza precedenti, ma che è impossibile conoscere.

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