L’attacco della Fieg ai collaboratori fissi e ai corrispondenti

di Elena Polidori e Daniela Stigliano
Consigliere di amministrazione dell’Inpgi e Consigliere nazionali della Fnsi

 

 

È un pericolo, per il nostro futuro e anche per quello delle nostre pensioni. Ma pochissimi se ne rendono conto. Mentre molti di più, pure all’interno del nostro Sindacato, se ne stanno facendo complici o colpevolmente ignavi. L’attacco ai giornalisti assunti con articolo 2 (collaboratori fissi) e articolo 12 (corrispondenti locali) è partito dall’azienda del presidente della Fieg, Andrea Riffeser Monti, e rischia di estendersi a macchia d’olio in tutta l’editoria quotidiana italiana, spaccando le redazioni e facendo scomparire, nel giro di qualche anno, queste due figure professionali e centinaia di posti di lavoro. Un vecchio disegno degli editori: sostituire collaboratori e corrispondenti contrattualizzati con cococo pagati a pochi euro a pezzo e senza garanzie, per arrivare un giorno non lontano ad abolire anche gran parte degli articoli 1.

La vicenda, narrata in sintesi qualche giorno fa in un articolo del Fatto quotidiano, ruota intorno alla richiesta di cassa integrazione per Covid-19 nelle testate del gruppo Riffeser: Qn-Quotidiano nazionale, Giorno, Nazione e Resto del Carlino. Giornali con forte radicazione territoriale, che hanno da sempre il loro punto di forza nella cronaca locale, garantita da decine di giornalisti articoli 2 e 12. Nel nostro contratto, queste due qualifiche non sono legate a orari di lavoro ma vengono retribuite sulla base di una prestazione concordata in pezzi. Proprio per questo, sono state in genere escluse dall’applicazione di cassa integrazione e contratti di solidarietà: come calcolare una riduzione dell’orario di lavoro se orario di lavoro non c’è? E come compensare una prestazione teoricamente mancata se non può essere quantificata?

La causale Covid-19 per la cassa integrazione ha invece convinto Riffeser e i suoi manager della possibilità di estenderla a tutti, arrivando a ipotizzare un taglio pesantissimo (e superiore a quello chiesto per gli articoli 1) delle retribuzioni (e del lavoro) di oltre 100 tra articoli 2 e 12, che spesso guadagnano meno di mille euro al mese, per le 18 settimane concesse dal 13 luglio fino a fine 2020. Per questo periodo, verrebbe sospeso il contratto di solidarietà attualmente in vigore nelle testate (da cui sono appunto esclusi collaboratori fissi e corrispondenti locali), per poi riprendere al termine della cassa Covid. Ma a quel punto, quale causale avrà lo stato di crisi? E sarà ancora solidarietà oppure cigs, forse anche con finalità di prepensionamento ma comunque con possibilità di licenziamento finale, coinvolgendo anche articoli 2 e 12?

Le trattative con i comitati di redazione del gruppo Riffeser sono partite ad agosto, con un riserbo giustificato dalla pesantezza dell’obiettivo finale. Ma è inutile dire che molti dirigenti della Fnsi, a livello locale e nazionale, sono informati dell’operazione. E in parte l’appoggiano o non la contrastano. Ben sapendo quali saranno le conseguenze di un sì all’accordo sindacale (obbligatorio, in caso di cassa Covid-19).

Prima di tutto, altri editori che hanno già applicato la cassa Covid-19 nelle proprie testate, escludendo gli articoli 2 e 12, saranno legittimati a chiedere una revisione degli accordi. Gli stessi dirigenti che hanno firmato quegli accordi si ritroveranno sbugiardati di fronte all’avallo della Fnsi (o di qualche Associazione territoriale) all’operazione Riffeser. E sicuramente le aziende che si apprestano a chiedere ora la cassa Covid-19 pretenderanno di includere nei tagli retributivi tutte le qualifiche contrattuali. A cominciare, con ogni probabilità, dalla Repubblica del gruppo Gedi, testata in cui è assunto il segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso, dove si sta trattando la sospensione del contratto di solidarietà con accesso alla cig Covid-19 e, al termine, ripresa dello stato di crisi con finalità di prepensionamento, quindi attraverso l’attivazione della cigs.

Poco male, qualcuno potrebbe pensare, visto che la cig Covid-19 viene pagata dall’Inps, ovvero dallo Stato, con il vantaggio che i contributi figurativi vengono versati per intero e in moneta sonante nelle casse dell’Inpgi. Ma questo è esattamente l’atteggiamento superficiale e poco lungimirante che caratterizza, purtroppo, la maggior parte delle decisioni della maggioranza che guida il Sindacato negli ultimi anni. Oltre all’ulteriore disgregazione delle redazioni e della professione, grande sarà anche il danno al nostro Istituto di previdenza, già fragilissimo nel suo equilibrio finanziario, con bilanci in rosso da anni, prospettive di peggioramento nei conti anche per l’emergenza sanitaria ed economica post-Covid e sì e no un anno e mezzo di possibilità di far fronte agli impegni di spesa, dal pagamento delle pensioni e degli stipendi dei dipendenti fino al versamento di tasse e altri oneri.

Finita la cassa Covid-19, le aziende riprenderanno gli stati di crisi in corso o chiederanno l’apertura di nuovi, in molti casi anche con possibilità di prepensionamento: gran parte dei milioni messi a disposizione dalla legge di bilancio 2020 sono infatti ancora disponibili (lo stanziamento è pari a 7 milioni per il 2020 e 3 milioni l’anno dal 2021 al 2027). Nuovi stati di crisi che includerebbero a questo punto a tappeto nella solidarietà o nella cigs anche gli articoli 2 (coinvolti in passato solo raramente per motivi legati ai prepensionamenti) e, per la prima volta, persino gli articoli 12. Cigs e solidarietà tutta a carico dell’Inpgi, che paga i rimborsi e deve contabilizzare anche i contributi figurativi. E se al termine dello stato di crisi scattassero i licenziamenti collettivi, allora l’Istituto sarebbe chiamato a farsi carico anche dell’indennità di disoccupazione. E questo a fronte della perdita di altre centinaia di posti di lavoro e dei relativi contributi previdenziali.

Un danno pesantissimo, insomma, per i conti dell’Inpgi e per la sicurezza delle nostre pensioni, che noi come consigliere di amministrazione dell’Istituto di previdenza non possiamo tacere e non denunciare. Il Sindacato, o quel che ancora ne rimane, dovrebbe dire pubblicamente e nettamente no all’operazione che si sta avviando all’interno delle testate del presidente della Fieg. E anche dalla presidenza e dalla maggioranza dell’Inpgi dovrebbe levarsi in maniera chiara la preoccupazione per il nuovo attacco alle pensioni dei giornalisti.

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