Agi e Angelucci: perché una agenzia non deve essere un giornale

di Luciano Galassi

Ho lavorato all’Agi per oltre 30 anni.

Sono stato assunto nell’agenzia, dopo una collaborazione di alcuni anni, nel 1984 come redattore ordinario, ne sono uscito con la qualifica di caporedattore centrale.

Mi sono occupato per tantissimi anni di inchieste giudiziarie (mafia, terrorismo, corruzione), ho seguito le varie riforme sulla giustizia.

Il mio Editore era l’Eni e in tutti gli anni trascorsi nella redazione ho conosciuto e mi sono confrontato con vari direttori culturalmente e politicamente distanti tra loro. I temi di cui mi sono occupato, come potete immaginare, erano spesso oggetto di polemiche politiche, perché se segui il settore giudiziario, spesso ti puoi trovare a scrivere di ‘potenti’ finiti sotto la lente della magistratura.

Perché ho fatto questa premessa?

Per dire che ogni volta che le indagini riguardavano un ‘potente’ o un ‘potere’ (politico o imprenditoriale, non ha importanza) è chiaro che il problema veniva sottoposto al vaglio del direttore o dei capiredattori. Sarei disonesto se sostenessi che non ho mai incontrato problemi. Ma posso dire che le notizie, quelle notizie, l’Agi le ha sempre trasmesse. E l’Eni non si è mai interessato più di tanto alla linea editoriale.

​E ora veniamo al dunque: due giorni di sciopero (su un pacchetto di cinque) sono stati indetti dall’assemblea dei giornalisti di Agi in stato di agitazione a seguito non di semplici indiscrezioni, ma di una trattativa che sarebbe in corso con l’imprenditore Antonio Angelucci, deputato della Lega, il ‘re delle cliniche’ ed editore attualmente dei quotidiani di centrodestra Giornale, Libero e Tempo.

Che Angelucci sia proprietario di questi tre quotidiani, nulla da obiettare, ce ne sono altri di area di centrosinistra. E’ normale, la linea editoriale dei quotidiani la detta l’editore che si sceglie il direttore che gli piace di più.
Ma il ruolo di un’agenzia di informazione, è diversa. L’agenzia ha un compito, un ruolo ben preciso e delicato. Fornisce, diffonde notizie che dovrebbero essere indirizzate agli organi di informazione (ma anche al pubblico, visto che ormai anche le agenzie hanno il loro giornale online), come si suol dire, a 360 gradi. Ossia, nessun commento o nessuna distorsione della notizia. Si riporta il fatto, le dichiarazioni dei politici, le scelte del Governo in carica, le critiche dell’opposizione, l’andamento dell’economia e del lavoro. Insomma l’agenzia riporta i fatti, i gruppi editoriali ne fanno l’uso che ritengono più opportuno, a seconda della linea editoriale e politica.

Da parte sua l’Eni, editore dell’Agi, si è limitata a dire che l’interesse di Angelucci è solo “una manifestazione di interesse spontanea da parte di un soggetto interessato ad Agi: ne è seguita una interlocuzione preliminare. Ad oggi non c’è un negoziato in corso”.

Per il Foglio, che dedica un editoriale sul caso Agi, “l’investimento di Angelucci sarebbe solo più smaccatamente politico, e in questo modo porterebbe un apprezzabile dose di chiarezza nella confusa editoria di destra”. E più avanti scrive: “Tutti sanno che sono loro il Giornale, Libero e il Tempo. Un’agenzia aumenterebbe le loro responsabilità, non darebbe loro licenza di inquinare chissà come l’informazione italiana”. Mi fermo qui.

Forse abbiamo due concezioni diverse su cosa debba essere un’agenzia di informazione.

Se il suo ruolo è quello di diffondere notizie, allora mi chiedo che interesse può avere un imprenditore già proprietario di tre quotidiani ad acquisire un’agenzia di informazione, basterebbe abbonarsi per avere il notiziario e tutte gli altri servizi e attività editoriali dell’Agi.

Non si può consentire che un patrimonio come quello dell’Agi, la seconda agenzia di informazione, sia relegato a ‘organo di partito’. Chiunque sia l’editore e a qualunque area appartenga.
Tutta la mia solidarietà ai colleghi dell’Agi

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