Credo nel valore delle notizie e del confronto: aderisco a Noi Giornalisti RAI

Cavallo Rai mazzini

Cari Romolo e Umberto, sono tanti anni che combattiamo dalla stessa parte della barricata e non potevo rimanere insensibile di fronte al vostro appello. Sapere che dalla parte vostra (anzi dalla nostra, quella giusta) c’è anche un gentiluomo come Carlo Verna mi fa capire che nove anni di contrapposizione con il gruppo dirigente di quel che dovrebbe essere il nostro sindacato non sono passati invano.

Leggere che c’è ancora chi crede in un’idea di sindacato presente nelle redazioni  a tutela di tutti i colleghi e del contratto e che si ritiene ancora controparte mi rincuora ma come sa chi mi conosce bene non sono incline a facili ottimismi. La trasmutazione genetica che il segretario Di Trapani ha imposto al nostro sindacato ha impresso ferite profonde nella nostra categoria. Se penso al Tg1 di Nuccio Fava con Roberto Morrione capocronista ed Ennio Remondino inviato speciale che senza timori metteva a nudo il potere internazionale della P2 e provo (senza riuscirci) a metterlo a confronto con la prima testata della Rai diretta adesso dal signor Carboni, dove si alternano interviste ossequiose allo strano ma vero degli orsi che ballano, mi vengono i brividi.

Una deriva, quella del tg1, che in questi ultimi anni, forse non per caso, ha preso la sua piega più brutta quando alla fine del 2012, quasi in contemporanea, Vittorio Di Trapani diventava per la prima volta segretario dell’Usigrai e Mario Orfeo veniva nominato direttore del tg1.

Ricordo bene quei giorni in cui ancora mi illudevo che un giovane segretario potesse fare bene. Purtroppo la delusione arrivò molto velocemente. Davanti ad un Di Trapani già silenzioso il neo direttore, nel suo discorso di insediamento, prefigurò una gestione militaresca del Tg1 con le line portatrici di ordini e i redattori che li eseguono. Come se l’autonomia e l’autorevolezza delle firme e degli inviati del tg1 non contasse più nulla e i colleghi che trascorrono ore dietro la scrivania per mettere a punto il giornale fossero solo dei burattini nelle mani del direttore. Da allora quel piano inclinato non si è più raddrizzato. I job posting dagli esiti precostituiti si sono susseguiti, le nomine senza rispettare l’anzianità sono diventate la regola e chiedere i criteri degli avanzamenti di carriera quasi una diffamazione.

La conseguenza è stata che la coesione redazionale si è via via incrinata, il dibattito interno si è spento, alle discussioni sono seguiti gli spintoni in corridoio, gli sberleffi nel corso della riunione verso chi fa proposte non gradite sono all’ordine del giorno e anche chi ricopre incarichi sindacali non ha avuto scrupoli a chiedere all’azienda di comminare provvedimenti disciplinari. Tutto questo nell’apparente disinteresse del segretario dell’Usigrai impegnato invece a gestire a braccetto con i direttori il ricambio generazionale, cercando di parare i colpi dei Cdr non perfettamente allineati. Tutto quello che è accaduto al tg1 è certamente figlio del suo ruolo di testata principale del servizio pubblico ma il Tg1 è sempre stato un modello che prima o poi viene esportato.

Anche per questo la tendenza va invertita al più presto con il sindacato che deve tornare a fare il sindacato, contrastando ogni tentativo di aggirare il contratto e di praticare la cogestione. Sperando che non sia troppo tardi e che presto questi ultimi nove anni di vita dell’Usigrai siano presto archiviati, anch’io aderisco al progetto “Noi giornalisti Rai” augurando buona fortuna a tutti coloro che credono nel valore delle notizie e della discussione 

Alessandro Gaeta, inviato del Tg1 e membro del Direttivo dell’Associazione Stampa Romana   

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