Che giornalisti siamo se non ragioniamo sul presente digitale della nostra categoria?

Di Cristiana Raffa, giornalista a RaiNews24 e rainews.it

Nei dibattiti che stanno accompagnando le elezioni per il congresso sindacale del 2023 sentiamo ancora dire che i social media manager sono quelli che “mettono sui social un pezzo”, o che “è rischioso dare il patentino di giornalista a un social media editor”. Parte da questo una serie di considerazioni che non possono più lambire il dibattito, ma che devono oggi, qui ed ora,diventare centrali.

Oggi un giornalista digitale è uno che fa il caro vecchio giornalismo da marciapiede, solo che il marciapiede che calpesta è virtuale. I social sono le piazze del dibattito pubblico, un dibattito inquinato e spesso eterodiretto da algoritmi piegati al business. 

In queste piazze non solo i giornalisti devono essere presenti e attivi, ma ci devono stare quelli più bravi e più competenti, perché quelle piazze sono presidi che stiamo perdendo. Dobbiamo essere presenti da giornalisti, con le nostre regole, la nostra deontologia, e la nostra missione di servizio, se non vogliamo fare la fine dei panda. 

Se io sono una giornalista di 42 anni e sono considerata “giovane”, abbiamo tutti un problema. 

Se io sono una social media manager giornalista, e sono considerata un po’ meno giornalista degli altri, abbiamo tutti un problema. 

Detto che a 40 anni uno non è più giovane e dovrebbe essere nel pieno del suo percorso professionale, va anche ricordato che secondo gli ultimi report sul consumo dell’informazione la stampa è collata dal 59% del 2013 al 15% del 2022 nelle abitudini degli italiani (Reuters Institute). 

Il 47% si informa sui social, il 69% accede alle notizie tramite smartphone.

Questa è la fotografia della realtà. Quella da cui partire per ragionare sul futuro dell’informazione, ma sarebbe già un traguardo ragionare sul presente. 

Oggi chi si occupa di esteri, ad esempio, non può non sapersi districare tra gli OSINT, cioè l’Open Source Intelligence, l’informazione che nasce e cresce sui social prevalentemente. Se non stai sui canali Telegram giusti, le notizie importanti ad esempio su Ucraina e Iran, le trovi sulle agenzie ore o giorni dopo. I social media manager nelle redazioni servono anche a questo, sono dei gate keeper dell’informazione. 

Ve lo ricordate chi per primo ha dato la notizia della partenza dei carri armati russi in fila verso il confine ucraino il 24 febbraio 2022 alle 3 del mattino, e cioè prima che Putin lo annunciasse? Un professore californiamo che studiava le dinamiche del traffico tramite google maps, dal suo tweet è partito il tam-tam di verifica degli OSINT e il resto è già storia. 

E l’orrore di Bucha? Oltre agli inviati sul campo che hanno visto, raccontato e fotografato, è stato il visual teams del New York Times ad avere un ruolo chiave con l’elaborazione delle immagini satellitari, per smentire le fake news russe su quello che era accaduto nella zona. Quello che era accaduto molto prima che gli inviati potessero entrare a verificare. 

Siamo fuori dal mondo se non guardiamo con interesse a progetti come il Post, ai podcast di Chora Media, a Fan Page, o Open, o a progetti di informazione fatti ad hoc ad esempio per Instagram, come Will Italia (hanno 1,4 milioni di followers su Instagram, Repubblica ne ha 1,8 milioni, per dare un’idea delle dimensioni, siamo lì).

Io voglio un sindacato che parli di questo e che stia su questo. Altrimenti facciamo bei discorsi su un altro pianeta. Ai giovani non trasferiremo nulla e le scuole saranno sempre più preludio di parcheggi per un mestiere che muore. 

Per questo io ho scelto di dedicare delle ore di insegnamento a una scuola di giornalismo. Per questo c’è assoluto bisogno di formare figure come la mia, accompagnate da esperti di social monitoring, debunker, cartografi, videomaker, data anlyst, grafici. Se vogliamo sopravvivere e dare anche un senso a un’attività sindacale attuale, teniamo conto della realtà. 

Grazie molte a tutti coloro che hanno accettato di partecipare a questa impresa.

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