Il bando per le agenzie di stampa: il caso askanews

I giornalisti dell'agenzia di stampa Askanews protestano dalla loro sede di fronte alla sala polifunzionale della Presidenza del Consiglio mentre il premier Conte lascia la onferenza stampa di fine anno con l'Ordine dei Giornalisti, Roma, 28 dicembre 2018. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

Partiamo dall’oggi, come siamo finiti.

La nostra agenzia di stampa, come alcuni di voi sanno, sta attraversando il periodo più complesso della sua storia. Il nostro editore è Luigi Abete, presidente di Bnl.

Dal 15 febbraio scorso siamo di nuovo in regime di ammortizzatori sociali, con una cassa integrazione feroce che mette a rischio il prodotto e quindi il nostro stesso futuro che per una parte rilevante si basa, come per le altre agenzie di stampa nazionali, sui contratti con le pubbliche amministrazioni. Gli esuberi dichiarati dall’azienda sono un terzo di noi, 27 su 90. Ma l’azienda rischia di chiudere.

Askanews infatti è in procedura di concordato di fronte al tribunale fallimentare ed entro maggio dovrà consegnare un piano che dovrà dimostrare che l’agenzia può stare in equilibrio finanziario e che può produrre anche un margine per pagare, nei tempi della procedura, la massa di debiti che ha accumulato in particolare negli ultimi mesi non pagando quanto dovuto (i nostri stipendi di dicembre e parte di gennaio, i mancati versamenti di Tfr e dei contributi al fondo di previdenza complementare, debiti con l’erario; per non parlare di quelli che vantano i fornitori vari). Cui si aggiungono adesso le parcelle salate dei professionisti della stessa procedura (asseveratore, commissari eccetera).

L’azienda dovrà dimostrare che il piano è ragionevole e che non si regge su promesse impossibili da mantenere.

Ma noi temiamo che il piano dell’azienda difficilmente si terrà in piedi.

Perché il piano dell’azienda rischia di non reggere.

Negli ultimi anni la continuità aziendale è stata assicurata dai giornalisti: a titolo esemplificativo dal momento della fusione tra Asca e Tmnews, cioè dall’ottobre 2014 ad oggi, tra contratti di solidarietà e cassa integrazione, i lavoratori hanno messo una cifra superiore a 6 milioni di euro.

La proprietà invece, che nel 2009 con l’acquisizione di Tmnews da Telecom Italia aveva avuto una dote di 10 milioni di euro per il rilancio dell’agenzia (mai realizzato) non ha messo un soldo per ricapitalizzare. Anzi.

La gestione dell’azienda è stata in alcuni passaggi opaca, cosa che ha indebolito la società: tra i passaggi su cui abbiamo chiesto più volte chiarimenti (senza avere spiegazioni esaustive) ci sono 3 milioni di euro di crediti azzerati in parte con il conferimento di una quota del settimanale Internazionale che ha solo ingessato il bilancio senza alcuna utilità per Askanews e operazioni di non meglio definiti ribaltamenti di costi. Resta il dubbio enorme su come sia stato possibile che una agenzia di stampa abbia maturato crediti per 3 milioni di euro nei confronti di una holding finanziaria, la capogruppo Abete Spa.

Ad oltre un mese dall’avvio dell’ennesima cassa integrazione, quindi, il taglio di fatto dell’organico e l’organizzazione del lavoro per farvi fronte stanno penalizzando pesantemente la qualità del prodotto. Una situazione che mina la capacità di essere competitivi e mette una grave ipoteca sulla partecipazione a bandi pubblici.

La scelta di procedere con il concordato in bianco ci sembra una decisione SENZA RITORNO.

Si sarebbe potuta e dovuta evitare, cominciando con l’impegnarsi seriamente nel concludere il confronto con la presidenza del consiglio per il pagamento dei servizi giornalistici resi dall’Agenzia nel lungo periodo in cui il settore è stato terremotato dal bando pubblico europeo per l’informazione primaria voluto dal governo Renzi e dal sottosegretario Lotti. Si tratta di una somma importante che, con l’ennesimo forte sacrificio che i lavoratori erano disposti a fare, avrebbe fatto la differenza.

Alle proposte sindacali l’azienda ha sempre detto no e i soli crediti che ora indica come cruciali per la propria sopravvivenza, sono affidati proprio all’esito incerto della controversia giudiziaria con la presidenza del consiglio, peraltro affidandosi ad un incomprensibile ottimismo.

Le conseguenze disastrose del bando europeo voluto da Renzi-Lotti.

Ecco, l’inizio della fine per Askanews è stato il bando europeo di Renzi e Lotti.

Quando il governo Renzi (sottosegretario Lotti) , ha deciso, nonostante la contrarietà di tutto il settore, di cambiare il sistema di acquisto dei servizi di informazione primaria passando da procedure negoziate tra la presidenza del consiglio e le singole agenzie di stampa ad un bando pubblico europeo, la proprietà e il management di Askanews non sono stati in grado di affrontare il caos generato da questa gara, unico esempio del genere in Europa. Un caos riconosciuto ormai da tutti che ha colpito non solo noi.

Intanto, con il bando europeo, nonostante le rassicurazioni a parole sul fatto che si sarebbe comunque preservato il pluralismo delle fonti di informazione primaria, è passato il concetto che l’affidabilità delle notizie o il resoconto di quanto accade in un Paese sia come una qualsiasi merce. E’ passato il concetto che vada benissimo il massimo ribasso che poi, di fatto, è stato messo in atto da diversi editori che hanno reagito cannibalizzandosi a vicenda e avviando una girandola di ricorsi e controricorsi mettendo le aziende in una situazione di grave incertezza.

Di fronte alle proteste di chi accusava Renzi e Lotti di svendere la produzione di informazione primaria allo straniero, con la possibilità a quel punto anche per agenzie estere di partecipare al bando, è stato cucito un vestito che ricalcava in gran parte lo status quo nazionale. Ma è stato cucito male, evidentemente, ed è accaduto quello che era stato paventato a più riprese. Un lotto dei dieci messi a gara era stato disegnato in modo tale da risultare troppo rischioso per aziende che, potendo concorrere solo per due lotti, si sono buttate tutte sugli stessi lasciando quello rischioso deserto. Qualcuno sarebbe rimasto fuori ed è toccato ad Askanews. Nessun paracadute è stato messo in atto per affrontare questa fase di transizione, nessun accorgimento per mettere al riparo davvero gli organici delle aziende coinvolte.

La procedura è durata un tempo infinito, oltre un anno. A maggio del 2017 è stata bandita la gara europea per dieci lotti per i servizi giornalistici alla Pcm. A fine giugno vengono assegnati 9 lotti su dieci. Askanews resta tagliata fuori. Viene ribandito il lotto andato deserto e viene vinto dall’Ansa che a quel punto molla il lotto 1 e passa al 2 perché più sostanzioso. Il lotto 1 viene rimesso a gara e la procedura di assegnazione si protrae per infiniti otto mesi con uno dei concorrenti che alla fine viene escluso perché in realtà non aveva i requisiti per partecipare. A giugno 2018 Adnkronos firma il contratto del lotto 1 e molla quello che si era aggiudicata che, a scorrimento, finirà finalmente ad Askanews.

Ma non abbiamo avuto il tempo di tirare un sospiro di sollievo, dopo oltre un anno di mancate entrate cruciali per il bilancio, dopo ricorsi e controricorsi, mesi di cassa integrazione al 50%, è arrivato il colpo di grazia.

Il Dipartimento dell’editoria infatti (a questo punto passato sotto la guida di Vito Crimi) ha chiesto un parere all’Anac sull’applicazione di un articolo del codice degli appalti, e l’Anac concludeva che sì Askanews poteva subentrare, che avrebbe dovuto fornire lo stesso servizio che sino a quel momento aveva prestato Adnkronos, ma alle condizioni economiche di quest’ultima che aveva fatto un ribasso del 37% sulla base d’asta (e quindi con un milione in meno l’anno per tre anni). Quanto al gruppo di lavoro, nel contratto, è stato fissato in soli 60 giornalisti (cioè ben al di sotto del gruppo di lavoro di Adnkronos con buona pace del nostro editore che aveva la strada spianata per chiedere la cassa integrazione che stiamo subendo con punte del 45% per caporedattori e capiservizio).

A quel punto, l’azienda lamenta il buco, che a questo punto è reale; per l’ennesima volta avverte che non ricapitalizzerà per superare la tempesta; chiede a noi l’ennesimo sacrificio in una trattativa che di fatto è sempre rimasta inchiodata alla pretesa che aderissimo alla richiesta iniziale. Poi, naufragata la negoziazione sul recupero del pregresso con il dipartimento dell’editoria, aprono le braccia e ci dicono che non possono fare altro che portare i libri in tribunale.

La proposta sindacale di un accordo meno pesante, a tutela della qualità del prodotto, ma con il vantaggio di essere spalmato su due anni (visto che un anno di cassa integrazione corrisponde a due anni di contratto di solidarietà) e che presupponeva che l’azienda andasse a chiudere la partita con il dipartimento, è stata sdegnosamente respinta.

Ora, il nostro futuro è appeso al tribunale fallimentare di Roma, ad un causa dagli esiti incerti e dai tempi lunghissimi e la procedura di concordato scelta deliberatamente dal nostro editore (che ha voluto giocare sulla nostra pelle l’alibi di una presunta necessità per fare quella ristrutturazione con un taglio strutturale del costo del lavoro che sinora non era riuscita a compiere) porterà a scenari anche peggiori.

Alla fine, noi lavoratori ci ritroviamo senza strumenti per tutelare i nostri diritti in un momento in cui la maggior parte degli editori sta affrontando le difficoltà del settore con l’unica ricetta dei tagli del costo del lavoro. Ci ritroviamo con un imprenditore che non fa l’imprenditore e che gioca a fare l’editore finché ottiene sovvenzioni pubbliche grazie al capitalismo relazionale e da salotto, una politica che assume decisioni che producono più danni di quelli che sostiene di voler correggere, e una gestione delle crisi affidata alla magistratura.

Oggi tutto il settore delle agenzie di stampa è sulla graticola.

L’attuale governo ha criticato duramente il bando unico europeo e ha affermato la necessità di trovare una soluzione. Il sottosegretario Crimi ha però ammesso di guardare con favore ad una riduzione delle 13 agenzie a diffusione nazionale. Come questo possa essere fatto senza farla pagare solo ai giornalisti al momento non è dato sapere.

Le agenzie sono tutte in crisi e stanno già subendo, compresa l’Ansa, un ridimensionamento fortissimo.

Vi darò qualche dato e concludo. Il Dipartimento ha attualmente in essere 15 contratti con le agenzie di stampa per 46,3 milioni di euro su un fatturato complessivo nel 2017 di 177 milioni di euro (circa il 25%) . Queste agenzie occupano oltre 750 giornalisti.

In Francia, la sola France presse nel 2017 ha registrato un fatturato di quasi 300 milioni di cui, circa il 40%, derivanti da contributi statali e contratti pubblici; ha 1600 giornalisti. In un contesto mondiale, le più importanti sono private ma contano, per esempio Reuters, su altre fonti di finanziamento rispetto alla produzione di notizie (e cioè la trasmissione dei dati per i mercati finanziari).

In un recente convegno, i dirigenti del dipartimento dell’editoria, ammettevano che in tutta Europa ci sono forme di finanziamento all’editoria e persino negli Usa e che “il compito del dipartimento è da un lato garantire un certo numero di volume di fatturato alle agenzie e dall’altro assicurare alle amministrazioni informazioni in tempo reale e affidabilità delle fonti”.

Serve dunque trovare una legge di sistema che dia al comparto stabilità e certezze, affinché le agenzie di stampa possano svolgere il loro lavoro di primo presidio a tutela di una informazione corretta.

Stampa romana in un confronto con i cdr di tutte le agenzie nazionali ha elaborato una proposta, ripresa in una mozione approvata dalla Fnsi, che parte dal riconoscimento del fatto che le agenzie di stampa forniscono un prodotto informativo di utilità pubblica. La riforma, che stampa romana riproporrà al confronto degli Stati Generali, deve basarsi sul rispetto da parte delle aziende di parametri precisi: occupazione stabile e contrattualizzata in maniera corretta, assetti proprietari trasparenti, qualità del prodotto.

L’impressione che ho avuto all’inaugurazione degli Stati Generali sull’editoria è che Crimi però abbia un po’ frenato. Riconosce il ruolo delle agenzie di stampa, nonostante la passione dei Cinque Stelle per la disintermediazione. Ma non ha parlato di abolire la riforma Renzi-Lotti e si è limitato a dire che bisogna “capire come ha funzionato e SE è il caso di migliorarla”. I tempi per il percorso degli Stati Generali sono lunghi e se i ddl, come è stato annunciato, verranno varati dal governo a settembre, rischiano di essere approvati fuori tempo massimo, con l’incognita dell’esito delle elezioni europee e il cantiere per la Finanziaria.

I contratti tra la presidenza del consiglio e le agenzie di stampa saranno presto in scadenza e non è escluso che ci si riaffidi ai bandi pubblici e allora bisognerà che la categoria in questi mesi si faccia sentire per pretendere di avere voce in capitolo su come questi bandi saranno pensati.

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