di Romano Bartoloni
Mentre tutto il pianeta si rinserrava (e si rinserra tuttora in molti paesi contagiati) in casa e dentro i vecchi confini nazionali per contrastare la pandemia, la copertura mediatica globalizzata sull’emergenza Covid unisce, simpatizza e solidarizza tra loro fino all’ultimo navigatore online. Mai fino ad oggi nessuna altra notizia aveva terremotato da cima a fondo tutto il mondo dell’informazione che ormai ruota intorno al web.
Le cifre di questa rivoluzione informatica senza precedenti vengono costantemente monitorate dall’Osservatorio europeo sul giornalismo Ejo, e dai report di Euromood infoweb-Covid con la partecipazione universitaria di Roma3, e che indaga sui post di 257 pagine Facebook di 27 Paesi europei più la Gran Bretagna. L’interessamento sulla pandemia raggiunge picchi vertiginosi non a caso in sintonia con la classifica delle Nazioni più duramente colpite quest’anno.. In testa l’Italia, seguita da Spagna, Germania, Francia, Regno Unito.
Nel ventesimo secolo si sono diffuse tre gravi pandemie, la Spagnola nel 1918, l’Asiatica del 1957 e la Hong Kong del 1968 che causarono migliaia di morti. Allora le informazioni venivano veicolate da numeri ridotti di strumenti di comunicazione oggi moltiplicatesi in forma esponenziale anche a rischio di creare la confusione delle opinioni contrastanti.
La cappa avvolgente del micidiale virus, gli eroismi del fronte sanitario, le lunghe quarantene, la lotta per la sopravvivenza e per il pane quotidiano, la difesa del posto di lavoro, la convivenza con il rischio contagio, nuove forme di solidarietà e socializzazione a distanza hanno rimesso al centro dei giochi il giornalismo di qualità, la cronaca dei fatti autentici che si consumano sulla pelle della gente. Con un colpo di spugna è stato spazzato via il grosso ingombro del gossip e del pettegolezzo della politica che ci ha perseguitato per decenni fino alla nausea. Alla ribalta racconti di storie vissute fra la vita e la morte, il calvario dei medici caduti nelle trincee degli ospedali, il dramma di un’economia in ginocchio e della disoccupazione, il pronto soccorso elemosina delle burocrazie pubbliche, la coda nei supermercati e nelle farmacie, l’isolamento degli anziani, il regime semi poliziesco per obbligarci a restare a casa.
Tutte queste sofferenze, angosce, pene, tribolazioni quotidiane testimonia, documenta diffonde il cronista che metro dopo metro sta riconquistando il territorio cittadino e periferico troppo spesso ignorato e abbandonato di fronte alle seduzioni del virtuale e del fasullo della globalizzazione. Si spiega, si descrive e si racconta l’emergenza toccando le corde più sensibili e profonde delle persone.
La riscossa del giornalismo di qualità si afferma nei mass media grazie a tanti colleghi tenaci e irriducibili nonostante i pericoli. Si erge a difesa di una umanità fragile e sofferente e sfida la stanza dei bottoni troppo reticente. Conduce ovunque una dura battaglia contro le fakenews che circolano e infettano a livello virale diffondendo panico altrimenti incontrollabile.
Finalmente anche il Governo italiano con il presidente Conte riconosce che “l’informazione è un bene pubblico essenziale” al quale va garantito un futuro nonostante il crollo della pubblicità. Gli fa eco il sottosegretario all’editoria Andrea Martella, sostenendo che i giornali “sono come i farmaci, un antidoto cruciale contro il virus, assolvendo un servizio pubblico essenziale”. Il Papa ha dedicato una preghiera speciale a tutti “coloro che lavorano nei media”. La Conferenza episcopale italiana considera le notizie “un pane necessario alla gente”.
Questa nuova consapevolezza presuppone il rilancio del giornalismo e della sua funzione indispensabile di mediazione e di servizio di pubblica utilità, praticamente alla pari dei riconoscimenti oggi esclusivi della Rai, con atti e investimenti tangibili a sostegno dell’editoria orfana della pubblicità chissà per quanto tempo, ed esposta alla pirateria del diritto d’autore professionale e della diffusione illegale di copie dei giornali. È tempo di passare dalle parole ai fatti nell’interesse dell’opinione pubblica in cerca di certezze e di fiducia per l’oggi e il domani. Ed è anche tempo di garantire dignità economica e tutele alle nuove leve di giornalismo che testimoniano sul campo il loro valore.
Quando ci risveglieremo dall’incubo virale nulla sarà come prima anche per il giornalismo (Vittorio Roidi presidente Fondazione Murialdi) che opera nelle trincee dell’epidemia a rischio della propria incolumità e a costi di sacrifici e di perdite di valorosi, e senza la difesa di una profilassi di categoria invocata da Stampa romana.
Ma ancor prima degli sconvolgimenti di oggi, quasi tutto era già cambiato nel mondo dell’informazione rivoluzionato dall’era del digitale e terremotato nei rapporti di lavoro. Lo sanno sulla loro pelle i moltissimi colleghi precari che hanno chiesto all’Inpgi2 il pronto soccorso del bonus per gli autonomi per sopravvivere e che rappresentano un mondo di decine di migliaia di addetti ai lavori (33.652 quasi tutti pubblicisti).
Un mondo di cronici mal pagati e mal tutelati, da tempo pionieri di fatto dello Smart working, evoluzione del telavoro, che, sotto la pressione dell’emergenza “tutti a casa”, si è espanso in forma esponenziale, creando una nuova dimensione operativa nelle imprese, nel pubblico e nel privato. In questo periodo si sono moltiplicate le teleconferenze stampa, le video interviste, il cosiddetto dialogo remoto, insomma si è diffuso il mondo online nel giornalismo e nel rapporto con le fonti di informazione.Non solo l’intero universo dei precari, ma anche buona parte della rete dei corrispondenti, scomparse le redazioni periferiche, agiscono ormai da “remoto”, i più integrati dagli articoli 2 e 12 del contratto giornalistico. Nella buona sostanza, realizzano le loro cronache e i loro notiziari con il modello dello Smart working che, per la prima volta e in circostanze eccezionali, ha coinvolto i professionisti delle redazioni costretti a lavorare a casa per non contagiarsi.
Ma le redazioni non sono state mai chiuse o smantellate, sono restate e restano il motore della produzione nell’ora critica presidiate dai vertici operativi che hanno tenuto e tengono un ponte verso il ritorno alla normalità. Per Roidi lo Smart working potrebbe provocare il declino dell’informazione, spappolerebbe le redazioni, polverizzerebbe la professione. Allo stato dei fatti, non è possibile che accada nonostante la minacciata raffica dei prepensionamenti e di ridimensionamenti aziendali. Colpire il consolidato sistema redazionale significherebbe stracciare definitamente il contratto di lavoro giornalistico già mortificato abbastanza. Il sindacato non lo permetterà mai e gli editori lo sanno bene.
Lo Smart working, se usato intelligentemente nel rispetto della “legge sul lavoro agile e flessibile”, potrebbe normare l’attuale telavoro e diventare uno strumento efficace nel frenare e arginare il fenomeno dilagante del precariato nel mondo dell’informazione. Il freelance non solo non è mai in vacanza, ma è investito di maggiori responsabilità lavorando in autonomia lontano dalle stanze redazionali. Ha diritto a un più equo trattamento economico.
Come se non bastassero le ansie e le apprensioni delle popolazioni in all’erta quotidiano, la disinformazione generata da mestatori di zizzania e da truffatori in cerca di facile visibilità ha messo il carico da 11 nei social e nelle chat per provocare allarmismi, panico, ribellismo con una serie di bufale e di fakenews su fantomatiche terapie, cure miracolose, monete infette, screening a domicilio di imbroglioni, complotti di untori, armi batteriologiche. Il Governo, il ministero della sanità, la Protezione civile si affannano a smentire, a mettere in guardia contro questa piaga terroristica. Addirittura a palazzo Chigi si intende costituire una task force contro le fakenews, rafforzando il ruolo della polizia postale per stroncare la catena di fonti tossiche che avvelenano i social. Anche le organizzazioni dei giornalisti si stanno attrezzando con Osservatori di denuncia e di controllo. L’informazione influenza la nostra vita e la nostra sicurezza, e non può e non deve essere manipolata a strumentali scopi di contropotere.
Non saranno le task force e gli osservatorii a sostenere la guerra contro la micidiale opera di disinformazione, ma i cronisti, i freelance, quanti sfidano i pericoli del momento nello scendere in strada e nell’affrontare le fonti a quattro occhi e in presa diretta.
Il boom della disinformazione sulla nostra pelle in questa ora buia potrebbe aprire finalmente tanti occhi e far passare la sbornia della supremazia degli algoritmi sulla professionalità dei giornalisti, recuperare il terreno di affidabilità e di indipendenza perduti sotto il dominio e l’invadente prepotenza della rete e del potere dei suoi mallevadori, riallacciare le file della cronaca con i fatti vagliati e valutati di prima mano, garantire dignità economica e tutele alle nuove leve di giornalisti che testimoniano sul campo il loro valore.
Si offre la rara occasione di riscattare l’informazione di qualità, e restituire autentiche certezze e fiduce all’opinione pubblica. Persino nel Palazzo, messo alle strette da una morsa senza precedenti di difficoltà di comunicare e di rendersi credibile, stanno riscoprendo, anche se a denti stretti, il giornalismo e la sua funzione di mediazione e di servizio di pubblica utilità che dovranno essere riconosciuti con atti tangibili con il ritorno alla normalità.