Relazione INPGI: consiglio generale del 18 aprile

Inpgi

Il 18 aprile scorso si è svolto il consiglio generale dell’Inpgi, forse il più drammatico della sua storia recente.

La presidente Macelloni ha infatti illustrato il bilancio consultivo del 2018, il peggiore della storia dell’Istituto dai giorni della sua fondazione; la gestione previdenziale e assistenziale, parliamo della principale o Inpgi 1, quella a cui sono iscritti i giornalisti con contratto di lavoro dipendente, si è chiusa con una perdita pari a -147,65 milioni di euro.

Il rosso è un po’ inferiore a quello che era stato stimato nel bilancio di assestamento in novembre (-167,11 milioni), ma rimane, purtroppo, più alto di quello del 2017, che era pari a -134 milioni. Anche il risultato netto ufficiale di bilancio è negativo, -161,38 milioni, con un forte peggioramento rispetto ai -100,61 milioni del 2017, anche se un po’ inferiore alle previsioni (-175,4 milioni).

E questo a fronte di una situazione che, senza plusvalenze, ha visto i ricavi della gestione previdenziale e assistenziale a 407,9 milioni (in leggero calo dai 412 milioni del 2017), mentre le spese sono aumentate da 546 a 555,6 milioni. La tabella qui sotto mette in evidenza l’andamento di ricavi e spese di gestione dal 2011 al 2018 e lo squilibrio crescente.

Ma perchè tutto questo? Per tanti motivi, ma il principale è che diminuisce il rapporto tra attivi e pensionati in modo incredibile. “Il 2018 – ha detto la Macelloni – si chiude con una perdita di 871 lavoratori attivi: 228 sono i pensionamenti e 623 sono contratti a termine scaduti e non rinnovati, licenziamenti e mancate riassunzioni.

Le nuove assunzioni a dicembre 2018 sono state 982 (1.100 nel 2017). Le nuove pensioni registrate in totale nel 2018 sono state 342 contro le 538 del 2017”. Sull’istituto pesano parecchio anche i prepensionamenti, che adesso si sono fermati per mancanza di rifinanziamento statale, ma con la coda delle uscite perfezionate nel 2018 sono arrivati a un totale di circa 1.100.

In questo quadro, ovviamente anche il 2019 vedrà l’Inpgi in forte perdita, -181,5 milioni quella netta finale prevista. Se non interverrà un cambiamento strutturale, che modifichi lo squilibrio tra entrate (in calo) e uscite (in aumento), i conti dell’Istituto non saranno sostenibili.

In altre parole: nel giro di pochi anni si esaurirebbe il patrimonio finanziario, che ogni anno viene in parte venduto (circa 150 milioni all’anno) per avere i soldi per pagare le pensioni, le prestazioni di assistenza (solidarietà, cassa integrazione, disoccupazione), i costi di struttura tra cui gli stipendi dei circa 200 dipendenti, l’acquisto di beni e servizi, le tasse.

Di recente l’Istituto ha fatto fare un nuovo bilancio tecnico attuariale (Bta), su base anno 2017; il patrimonio dell’Inpgi (partendo da 1.499,5 milioni a fine 2018) si esaurirà in meno di 10 anni, assottigliandosi negli anni a causa delle perdite e diventando negativo, quindi in default, con -138,3 milioni a fine 2028.

A quel punto dunque l’Inpgi non esisterebbe più. Ammesso che nel frattempo sia riuscito a pagare le pensioni e le altre prestazioni attingendo al patrimonio finanziario, cioè i fondi d’investimento e attraverso i proventi della cessione di tutti gli immobili inseriti nel Fondo Amendola.

In questo quadro vale la pena sottolineare che il patrimonio netto contabile è diminuito da 1.735,4 a 1.574 milioni al 31 dicembre 2018. La riserva legale, che costituisce la riserva tecnica a garanzia del pagamento delle pensioni, dopo la copertura del disavanzo 2018 è diminuita da 1.719 a 1.557,6 milioni. Secondo la legge (il Decreto legislativo n. 509 del 1994) la riserva tecnica deve coprire almeno 5 annualità di pensione.

Questo vincolo, secondo l’Inpgi, viene rispettato ricorrendo a un cavillo legislativo (contenuto nella legge n. 449 del 1997), perché viene preso come riferimento il costo dell’annualità di pensione del 1994, che era pari a 149,2 milioni, molto inferiore al valore attuale. Così facendo il rapporto sarebbe pari a 10,4 (in calo da 11,5 dell’anno precedente). L’annualità di pensione corrente nel 2018 corrisponde invece a 527,7 milioni. Pertanto se si prende il valore corrente la riserva legale copre solo 2,95 annualità (erano 3,36 a fine 2017), al di sotto dell’obbligo dei 5 anni. A fine 2019 il rapporto dovrebbe abbassarsi ancora, a circa 2,5 volte.

Tralascio altri aspetti tecnici, sul valore dei beni mobili, immobili e degli investimenti, che comunque sono stati tutti presi in considerazione dall’attuario Micocci per stilare la sua nuova relazione, ma a mio giudizio vale la pena soffermarsi invece su un altro dato, quello degli ammortizzatori sociali erogati dall’Inpgi; nel 2017, il costo complessivo sostenuto per gli ammortizzatori sociali è stato pari a 16 milioni, in diminuzione dai 24,2 milioni del 2017.

Secondo la relazione di Macelloni la spesa sostenuta dall’ente è di 10,6 milioni per la disoccupazione (-12,3%), 3,1 milioni per la solidarietà (-62,8%), 2,2 milioni per la cassa integrazione (-37,3%), 105mila euro per la mobilità (-24,1%). La riduzione della spesa è spiegata con gli effetti della riforma della legge 416 “che ha reso più stringente l’accesso agli stati di crisi”.

Cosa significa questo? Che gli editori hanno reso negli anni l’Inpgi un gigantesco elemento di ammortizzazione sociale e che anche a fronte del ‘vuoto’ costituito oggi dal fondo per i prepensionamenti, che nessuno ha intenzione di rifinanziare a breve, continua a gravare sull’Istituto il ricorso pressochè indiscriminato alla solidarietà che, sebbene diminuita di parecchio, continua ad incidere in modo pesantissimo sulle casse.

Insomma, gli editori prendono, continuano a pretendere, ma nulla danno in termini di investimenti nel settore, anche – e soprattutto – in termini di occupazione; ci sarà pure la crisi che morde, ma fino ad oggi non abbiamo visto nessun tipo di cambio di passo da parte di chi, davanti a questo quadro drammatico, invece di pietire nuovi fondi al governo, dovrebbe accettare anche un minimo di rischio d’impresa investendo nel rilancio. Invece, si continuano ad utilizzare pensionati nelle redazioni ‘perchè la legge lo consente’, si fa un uso indiscriminato di articoli 2, 12 e co.co.co per sostituire in redazione figure di articoli 1 troppo costosi e si fa ricorso minaccioso alla solidarietà per continuare ad incassare senza rischiare nulla.

Una situazione dove l’Inpgi ha però delle sue responsabilità, avendo a mio giudizio un ufficio ispettivo carente e non incisivo nel rilievo dei casi di violazione delle norme sulla contribuzione nelle redazioni, soprattutto in quelle più importanti. La responsabile di tutto questo è senza dubbio la direttrice dell’Istituto, Mimma Iorio, pesantemente criticata durante l’ultima riunione del consiglio generale proprio su questo punto sia dalla maggioranza che dall’opposizione; è stato promesso uno sforzo maggiore dell’ufficio ispettivo, ma ormai c’è poco da sperare.

In ultimo, sottolineo che nella riunione del 18 aprile c’e’ stata una nuova polemica sui soldi dati dall’Inpgi a Fnsi e Associazioni regionali di stampa (sollevata da Puntoeacapo, che poi ha però votato, per la prima volta, favorevolmente al bilancio) e sulla questione dell’ingresso dei comunicatori nell’Inpgi1 su cui – siamo stati informati – l’Inpgi sta ancora trattando con il governo “per ottenere una norma – ha sostenuto Macelloni – che ci consenta di iscrivere i comunicatori pubblici e privati (circa 14mila persone) e le nuove figure professionali legate al web.

E’ una soluzione che, come dimostrano i risultati delle relazioni attuariali consegnate ai ministeri e alla Corte dei Conti, riporta i conti dell’istituto in sicurezza in maniera stabile e duratura. E’ l’unica soluzione possibile per non essere condannati all’estinzione nella speranza di un ritorno al passato che non ci sarà”. La trattativa, a quanto se ne sa, è comunque fortemente penalizzata dall’intransigenza del Movimento 5 stelle, che vuole asfaltare la categoria, corpo intermedio che impedisce lo strapotere delle loro fake news sul web; non è un caso se gli stessi grillini sono gli unici che si stanno opponendo in modo robusto al recepimento, da parte dell’Italia, della normativa europea sul copyright recentemente approvata dal Parlamento Europeo.

Chiudo rilevando che sul fronte dell’Inpgi 2 c’è una flessione nell’utile netto finale, che è minore di 17,7 milioni di euro (-36%) rispetto all’esercizio precedente, ma il risultato economico finale è comunque positivo per 30,63 milioni.

di Elena G. Polidori

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