I passi ufficiali di Martella: segnali di speranza. Gli editori li sfrutteranno?

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all'editoria Andrea Martella nella sala Koch del Senato durante il convegno ''Una nuova strategia per il rilancio del settore dell'editoria'', Roma 26 settembre 2019. ANSA/GIUSEPPE LAMI
L’esordio pubblico di fronte alla Commissione Cultura della Camera del Sottosegretario della Presidenza del Consiglio con delega all’editoria era atteso dalla comunità professionale dei giornalisti.
I segni di una crisi infinita sono tutti lì evidenti in bella vista senza apparenti soluzioni di sistema.
L’occupazione continua a flettere nel lavoro subordinato, gli articoli 1 non sono rimpiazzati. Non si contano le crisi aziendali, le ristrutturazioni, i trasferimenti senza apparenti motivazioni.
Quello che sta accadendo a Roma da anni è sotto gli occhi di tutti.
L’implosione del sistema si sviluppa all’interno di una enorme contraddizione: il saccheggio produttivo da parte degli Over the top, giganti del web incapaci di restituire se non in una parte infima quanto sottraggono come traffico pubblicitario,dati e informazioni ai produttori di notizie. Una idea tutta da sconfiggere nella politica per la quale lo Stato non è in grado di regolare gli squilibri di mercato e per questo non vuole (o non può) dare un ordine e un timone all’editoria.
Andrea Martella ha sottolineato in apertura e in coda ai 40 minuti del suo intervento il ruolo che lo Stato vuole esercitare sui nodi del settore e un metodo di ampio confronto con gli stakeholders.
Il merito di quanto ha detto ci obbliga ad alcune riflessioni puntuali.
 
EDITORIA 5.0
Di fronte a una serie di questioni aperte e irrisolte Martella ha spiegato ai parlamentari che alcuni interventi saranno immediati, a partire dalla legge di Bilancio (il rinvio dei tagli previsti per giornali locali e di opinione), altri saranno più mediati affidati all’inizio del prossimo anno e soprattutto più strutturati.
Un po’ enfaticamente il provvedimento ribattezzato Editoria 5.0 ha l’ambizione di rimpiazzare la 416, la legge che per una trentina d’anni ha retto il sistema editoriale italiano.
La nuova legge sull’editoria dovrebbe contenere un po’ di tutto: la trasformazione digitale del settore, la difesa della carta, gli incentivi fiscali alle aziende, la formazione professionale per rinnovare saperi e competenze delle redazioni, la lotta alla fake news, la trasformazione di edicole e distribuzione con aiuti fiscali, i criteri per la contribuzione diretta a quotidiani locali e giornali di opinione e la contribuzione indiretta per tutti i giornali.
L’ampiezza dei temi trattati fa venire le vertigini e dimostra quello che era già impietosamente emerso dagli Stati Generali organizzati dal precedente sottosegretario,  Vito Crimi. Non c’è segmento dell’editoria cartacea e digitale che ha trovato un punto di equilibrio.
L’intero sistema soffre, non sono sotto scacco solo i giornalisti. E paradossalmente cogliamo anche qualche linea trasversale consegnata dai cinque stelle al pd: gli incentivi per i giovani nella card 18+ arrivano da lontano così come gli aiuti per startup innovative e il credito di imposta sulla pubblicità sui giornali. Le differenze invece emergono quando entriamo sulle risorse, sul recepimento della direttiva europea sul copyright, diritti connessi inclusi, e sul lavoro.
 
RISORSE E LAVORO
 
Se l’obiettivo sindacale nella stagione di Crimi era salvare gli stanziamenti esistenti diretti, 110 milioni tra legge sull’editoria e agenzie di stampa, oggi ci sono in ballo altri soldi.
Dalla digital tax arriverà all’editoria un contributo del 5% per un massimo di 20 milioni annui.
A cosa serviranno questi soldi?
Qui entriamo nelle spinte e nelle controspinte che già si vedono negli stati di crisi di questi giorni, QN in testa.
La disponibilità sui prepensionamenti è una dolce sirena per gli editori. I nostri “padroni” in questi anni hanno pochissimo innovato e ancora di meno investito, Hanno invece ripetutamente tagliato appoggiandosi alle casse dello Stato con i prepensionamenti. Oggi sanno che una decina di milioni su quella voce possono far gola e alzano la voce anche sul Governo con azioni dure contro le redazioni.
D’altronde il rapporto 1 nuovo ingresso per 2 prepensionamenti proposto da Martella seppur meno gravoso del 1/3 di Lotti, se azionato con costanza affosserebbe ulteriormente l’Inpgi, rendendo la sua salvezza una autentica Mission Impossible.
E non è solo una questione di conti.
E’ invece una questione di scelte.
Se pensiamo che il nostro settore, o almeno una sua parte, sia finito allora può essere giusto portare i colleghi a riva con i prepensionamenti. Se invece pensiamo che ci sia ancora speranza i soldi pubblici non possono ridurre il perimetro di gioco, distruggendo lavoro (un lavoro che rientra dalla finestra magari con una collaborazione da pensionati).
La spinta sindacale dovrebbe invece essere una risposta decisa a iniziare dal tavolo sull’equo compenso oggi ufficialmente riaperto. Martella ha sottolineato l’effetto distorsivo del precariato nel nostro settore con paghe ridicole. E anche sui cococo pur non indicandone la fine ha proposto un metodo trilaterale, editori/sindacato/governo, per superarli.
 
AGENZIE PRIMARIE
 
La partita aperta del giusto/equo compenso è il frutto dell’azione congiunta di Stampa Romana e dell’Associazione Siciliana dei giornalisti. Quella partita per buona parte del mondo sindacale sembrava a un certo punto morta e sepolta. 
L’azione di Stampa Romana si è vista anche in un altro passaggio dell’intervento di Martella.
Siamo stati un paio di anni fa fermi nel denunciare il sistema dei bandi per le agenzie per attribuire le commesse come una solenne sciocchezza che avrebbe solo avuto l’effetto di mandare in tilt il settore, distruggendo posti di lavoro.
Siamo stati facili profeti.
Ma, al di là dei contenziosi innescati tuttora visibili (vedi askanews, la fine del Velino), era l’approccio completamente sbagliato. 
Pensare che le notizie fossero come le strade, i tombini, le siringhe di un ospedale, suscettibili di aggiudicazione con appalto al massimo ribasso.
Quando Martella dice che l’informazione primaria è un bene pubblico e quindi implica e giustifica l’intervento statale, allontanando definitivamente il codice degli appalti e i bandi, dice esattamente le stesse cose scritte nella legge di sistema proposta da Stampa romana. E quando non esclude interventi legislativi pensa a uno strumento molto più solido nella definizione di questo settore fondamentale per la nostra informazione. Esattamente quello che abbiamo proposto a tutti gli attori della partita. 
 
INPGI
Il momento molto complicato, con previsione di passivo per quest’anno a 150 milioni, sta nella prudenza con cui il tema è stato sfiorato.
Per Martella vale quanto scritto nella norma di questa estate. Possibilità teorica, perchè Martella l’ha escluso in altra sede, di commissariamento dal primo novembre, un anno per mettere in campo azioni di ristrutturazione del passivo, arrivo dei comunicatori nel 2023.
Se questo è il percorso, senza nasconderci le incognite sui conti, è necessario percorrerlo coinvolgendo i comunicatori, non annettendo i loro contributi come se fossero terra di conquista, e l’Ordine dei giornalisti per una corretta veste giuridica con apposito albo per i comunicatori.

Aiuterebbe quest’ultimo passaggio non solo l’Inpgi ma anche una visione più corretta e corrispondente alla realtà del mondo della comunicazione in cui agiscono anche giornalisti e giornaliste.

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