Avviamo il cantiere della riforma delle agenzie. Il conflitto per l’occupazione non è un tabù

di Paolo Barbieri

 

 

Si può produrre informazione attraverso il lavoro professionale dei giornalisti, che selezionano le notizie, le verificano, le approfondiscono, le mettono in relazione con altri fatti per analizzare la realtà; oppure tagliando progressivamente gli organici delle redazioni, riducendo i giornalisti al ruolo di meri passacarte di una produzione che nasce nei sempre più sovradimensionati uffici stampa delle istituzioni, delle aziende, delle organizzazioni internazionali.

E’ giusto e anzi necessario riflettere sull’evoluzione tecnologica e su quella delle modalità di consumo dell’informazione, sul ruolo degli over the top, sugli algoritmi, sull’interazione fra lettori e “scrittori”, sempre più una nebulosa indistinta. Ma sarebbe un errore sottovalutare la necessità di mantenere in vita una robusta infrastruttura produttiva tradizionale: altrimenti sarebbe come se, visto il boom del lavoro da remoto con l’emergenza Covid 19, decidessimo di non fare più manutenzione alle strade perché tanto si può lavorare da casa.

Preoccupa, perciò, il nuovo attacco all’occupazione giornalistica e al prodotto informazione nelle agenzie di stampa. Anche se non è una novità, né una sorpresa.

Accade all’Ansa, la principale agenzia italiana, azienda sotto il controllo degli editori dei quotidiani, operatori economici che in questi mesi di emergenza sanitaria ed economica sono stati i principali beneficiari delle più che sollecite attenzioni da parte del Governo nei confronti del mondo dell’informazione, in crisi da anni e minacciato dalle conseguenze del lockdown su imprese e consumatori (lettori) italiani. Si tratta di quegli stessi editori che da anni, riducendo costantemente il corrispettivo che riconoscono all’Ansa per i servizi che fornisce alle loro testate, innescano progressive crisi che vengono regolarmente scaricate sugli organici (soprattutto, ma non esclusivamente, giornalistici) e quindi sulla capacità produttiva di una agenzia storicamente considerata fra le prime realtà mondiali del comparto.

Le agenzie di stampa forniscono l’ossatura del dibattito politico nazionale e locale, del dialogo fra le istituzioni, del confronto sulle politiche economiche e sugli eventi sociali di maggior rilievo. Lo fanno in modo professionale perché filtrato dal lavoro giornalistico di acquisizione e verifica delle notizie, dei dati, delle posizioni di tutti gli attori sociali e istituzionali, quindi in modo utile alla dialettica democratica. Invece di coltivare pericolose illusioni sul fatto che autorità parlamentari, governative o “indipendenti” possano “sorvegliare” la qualità e la veridicità delle notizie, occorrerebbe ricordarsi che la migliore cura contro le fake news è una produzione pluralistica di informazione professionale. Copertura vasta degli eventi, verifica professionale delle notizie, pluralismo di linee editoriali sono strumenti “di sistema” della democrazia e della vita sociale.

Un ruolo “di sistema” che le agenzie svolgono anche sul piano produttivo, consentendo alle testate di ogni comparto (carta, radio, tv e digitale – ok, lo so che il digitale non è solo un “comparto” ma un’evoluzione della realtà nella quale siamo tutti immersi, spero che questa consapevole semplificazione non attiri troppi censori) di avere a disposizione una solida base di prodotto per il loro lavoro.

Oggi è sotto attacco l’Ansa, che pure ha attraversato altre fasi di ridimensionamento, ma è toccato in passato all’Agi, ad askanews devastata da una gestione dissennata e non troppo trasparente, alla AdnKronos che ha evitato a suo tempo con grandi sacrifici della redazione una ondata di licenziamenti, ad altre realtà che con metodi anche fortemente intimidatori sono riuscite a introdurre regimi di sostanziale deroga interna al contratto nazionale. Ognuno può giudicare liberamente quanto può essere grave per tutto il sistema informazione, quindi, una situazione nella quale il ruolo e la forza delle agenzie di stampa e il valore dei loro giornalisti vengano costantemente messi in discussione.

Occorre una risposta, che non può che essere duplice.

Da un lato, lo dimostra la vicenda askanews, per chi la conosce, ma anche, in parte, il sofferto dibattito delle recenti assemblee sindacali all’Ansa, serve contrastare la sfiducia ormai troppo diffusa tra tanti colleghi nei confronti del conflitto (in tutte le forme che può assumere, non certamente il solo sciopero) come base dell’azione sindacale. L’altra è la via dell’azione politica, per la quale servirebbero editori con meno conflitti di interesse e istituzioni della categoria più credibili, a partire dai vertici della Fnsi da tempo ripiegati in un pigro e autoreferenziale tran tran gestionale.

L’ultimo congresso della Fnsi ha però approvato una mozione di appoggio alla proposta di legge elaborata un paio di anni fa da Stampa romana, il cui pilastro è il riconoscimento del ruolo di servizio pubblico svolto dalle agenzie di informazione. Un principio sul quale inizialmente si era detto d’accordo nel 2018 l’allora sottosegretario all’Editoria Vito Crimi, poi richiamato all’ordine e al rispetto della linea anti-giornalisti del suo partito. Un principio a parole sostenuto anche dall’attuale sottosegretario Andrea Martella.

Il quale però, pur essendo al governo da quasi un anno, non ha ancora avviato un confronto con editori e giornalisti su quelle che lui stesso, in audizione alla Camera nell’autunno del 2019, ha definito le “vistose criticità” del sistema della gare d’appalto per l’acquisto dei servizi delle agenzie di stampa nazionali. Analisi condivisibile, ancorché velata da un linguaggio comprensibilmente diplomatico, essendo riferito a una sciagurata iniziativa di un suo collega di partito, il suo predecessore Luca Lotti. Iniziativa contrastata con assemblee, scioperi, comunicati e richieste di confronto dal parte delle rappresentanze sindacali delle redazioni interessate, a nome di oltre mille colleghi fra redattori, corrispondenti e collaboratori. Proteste a suo tempo seguite con solidarietà non eccessivamente partecipe dai vertici della Fnsi e ignorate in modo sprezzante dal Governo e dal sottosegretario, poi ministro, Lotti.

A chi lo avvicina informalmente, Martella fa capire di avere in animo di riprendere, nell’ottica di una riforma del sistema delle convenzioni, anche l’esame della annosa questione del numero in eccesso delle agenzie nazionali. Un tema che da anni non è tabù per i giornalisti delle agenzie e che fu affrontato con determinazione progettuale in due convegni organizzati con gli attori del settore dal coordinamento dei Cdr delle agenzie con l’appoggio di stampa romana, la prima volta addirittura nel 2012. Il punto è che sarebbe ora di abbandonare le ipocrisie: il rifiuto ideologico di interventi “dirigisti” ha portato finora a un nulla di fatto e a un progressivo depauperamento di un patrimonio prezioso, mentre editori disonesti continuano a trarre profitto anche da aziende in crisi per i loro piccoli, a volte miserabili, tornaconti personali o aziendali.

Per riformare il comparto agenzie occorrono giornalisti che tornano a far sentire la loro voce e politici coraggiosi e non complici degli editori. E’ fantascienza?

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