Inpgi tra mancate scelte e silenzio della politica

Non è più tempo dei rinvii, ma delle scelte. A poche settimane, ormai dalla scadenza dello ‘scudo’ che protegge l’Inpgi dal commissariamento (30 giugno) la politica appare ancora silente nel proporre soluzioni che salvino l’Istituto dal default e con esso le pensioni dei giornalisti. Quel che serve, in questo momento, è invece una decisione forte, che consenta di salvaguardare l’Ente a lungo raggio e non attraverso soluzioni momentanee che avrebbero solo l’effetto di allungarne l’agonia.

Quello che appare in filigrana, mentre i conti dell’Istituto appaiono sempre più critici, con una riserva tecnica che si è assottigliata ancora e ci dà fiato per molto poco, è un improvviso, (quanto inatteso, per la maggioranza che governa l’Inpgi) voltafaccia di quei partiti di governo che fino a ieri si erano detti non solo pronti a dare man forte nella salvaguardia delle pensioni dei giornalisti, ma che si erano anche fatti parte attiva per rendere legge l’ingresso dei ‘comunicatori’ nella platea contributiva dell’Ente. La norma, si ricorderà, prevede l’allargamento della platea contributiva a partire dal 2023, ma per quel tempo l’Inpgi sarà già ampiamente in default e dunque sarà l’Inpgi a veder traghettare i propri iscritti nell’Inps, non i ‘comunicatori’ ad essere trasportati sotto l’ombrello di via Nizza.

C’è poi il silenzio con cui il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha accolto la pressante richiesta, fatta dai vertici dell’Istituto, di anticipare al 2021 i contenuti della legge, mentre si rincorrono voci di richieste di nuove manovre a carico del cda Inpgi, per ‘riequilibrare’ i conti, che sembrano mandate avanti più per fare terrorismo (come la retrodatazione di 10 anni del metodo di calcolo contributivo delle pensioni non ancora in essere e di aumentare l’aliquota di contribuzione a carico degli editori) che per reale sostanza; la prima, infatti, ‘olezza’ di incostituzionalità, la seconda sarebbe un boomerang vero e proprio rispetto agli sforzi che si stanno facendo per far assumere nelle redazioni, attraverso sgravi e condoni e altre fantasiose ricette, chi oggi lavora come un art 1 ma è un co.co.co oppure un semplice collaboratore senza paracadute. 

Insomma, anche a via Veneto non sembrerebbero avere le idee chiare sul da farsi, né di avere a cuore la sorte delle pensioni dei giornalisti, visti i silenzi e i tentennamenti di questi giorni. Sorte che, per altro, interessa ancora meno agli editori, che infatti guardano invece con favore sia al commissario che al passaggio all’Inps, inconsapevoli del fatto che scaricare sulla finanza pubblica il costo del lavoro attraverso le solidarietà e i prepensionamenti come hanno fatto da anni e fino ad oggi con l’Inpgi, potrebbe diventare complicatissimo per loro.

In questo quadro, pieno di incertezze su tutti i fronti, l’unica strada che ancora oggi risulta percorribile per salvaguardare le pensioni dei giornalisti italiani, in essere e che saranno, è e resta quella di ricollocare l’Inpgi sotto l’ombrello della garanzia pubblica, allontanandone l’ingresso all’Inps. Perché ‘garanzia pubblica’ non significa ‘andiamo all’Inps’, significa ‘usciamo’ – solo noi – dalla  cornice della legge 509 che ha privatizzato una serie di enti previdenziali di categoria compreso l’Inpgi.

A conti fatti, alla fiscalità generale costerebbe assai meno ripianare, di anno in anno, gli squilibri di bilancio dell’Istituto piuttosto che sobbarcarsi – nello stato in cui versa anche l’Inps – di un gravame enorme di pensioni in essere da pagare, del welfare di un’intera categoria e di editori sempre più ossessionati dai ricavi e dal taglio lineare del costo del lavoro, ma sempre meno intenzionati ad investire in assunzioni e nel rinnovamento del settore.

D’altra parte, l’Inpgi ha sgravato lo Stato, in questi anni, dal pagamento di disoccupazioni, solidarietà e Cigs per oltre 500 milioni di euro (senza rivedere nulla di quanto speso, s’intenda) costi che tornerebbero tutti nell’alveo della fiscalità generale in un batter d’occhio in caso di ingresso all’Inps; dal 1951, con l’entrata in vigore della legge Rubinacci (che è ancora in vigore insieme con la legge Vigorelli del 1955), l’Inpgi ha infatti garantito le prestazioni assistenziali e previdenziali dei giornalisti (dal 1981 gli ammortizzatori sociali)pur essendo indipendente dall’Inps. 

In ultimo; avere la  garanzia pubblica non significa affatto perdere l’autonomia della professione (ma da quando in qua è un Istituto di previdenza a tutelare la libertà dei giornalisti?) e neppure avere “maggiori controlli”. Significa solo salvare contributi e pensioni che rappresentano – per tutti – i sacrifici di una vita e che un default incontrollato metterebbe senz’altro a rischio.

Elena G. Polidori

(cda Inpgi)

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