Un contratto da rinnovare, una comunità da saldare

di Lazzaro Pappagallo – Segretario Associazione Stampa Romana

Nelle ore convulse che hanno portato all’elezione dei Presidenti di Camera e Senato, a Bologna si è svolto il congresso nazionale della Uil.

E’ stato interessante ascoltare l’orientamento del mondo del lavoro più generale, quello che rappresenta milioni di lavoratori e pensionati.

Il punto fermo, ricordato anche da Maurizio Landinil, segretario generale della Cgil, è la riduzione delle diseguaglianze arrivata a un punto di non ritorno anche nei paesi “ricchi e globalizzati” e la creazione di una comunità di persone attorno e nel sindacato.

La riduzione delle diseguaglianze si nutre della speranza di abbandonare una stagione di ubriacatura neoliberista e di tornare invece alla concretezza dell’agenda sociale.

Stringere una comunità di persone ha significato, ad esempio, considerare un punto fermo, nelle parole di Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della Uil, il reddito di cittadinanza nell’ottica di proteggere la fascia più debole della nostra popolazione.

Una fascia che rischia di essere ancora più emarginata, erosa nella sua materialità e anche nei suoi diritti, dalla congiuntura economica, dalla crisi energetica ed energivora e dall’inflazione.

La mobilitazione deve essere ampia – ha ricordato Landini – cercando di stringere i bulloni dell’unità sindacale attorno a temi concreti e ben definiti.

Da Bologna allora partono alcuni spunti che devono rientrare nel dibattito sindacale tra giornalisti, liberato dalla strettoia dei destini dell’ente previdenziale di categoria.

Assicurata la garanzia pubblica a pensioni e contributi, bisogna realisticamente muovere le pedine del rinnovo contrattuale.

Il contratto principale, applicato nei grandi giornali, nelle agenzie, nelle tv private nazionali e nella Rai, rappresenta il benchmark di riferimento e le scelte effettuate su questo contratto si tradurranno, nel bene e nel male, negli altri contratti firmati dal sindacato dei giornalisti (Corallo e Asso Fisc).

Il contratto principale è fermo da otto anni e da sei anni non si intravede l’ombra di un rinnovo. L’alibi per gli editori e la contestuale richiesta di tagli alle parti variabili della busta paga è stata la crisi infinita del settore.

Due punti devono essere chiari prima di arrivare nel merito delle proposte: il governo Draghi ha riaperto i cordoni della borsa pubblica per finanziare direttamente e indirettamente le aziende, anche con agevolazioni sulle assunzioni.

Le condizioni economiche generali sono nettamente cambiate negli ultimi mesi.

Se fino all’anno scorso si poteva tergiversare dall’alto di una inflazione tendente allo zero e quindi di una capacità salariale non intaccata nel cedolino reale quello che si misura con il carrello della spesa, se non dal ricorso ad abundantiam di ammortizzatori sociali, oggi non è più così. Non ci possiamo illudere che di fronte all’inflazione al dieci per cento si debba restare in trincea con meno soldi per giornaliste, giornalisti e rispettiva famiglie.

A questo aggiungiamo l’intensificazione della concentrazione digitale di competenze e di produzione. La produttività del settore, prima della pandemia e soprattutto durante la pandemia anche con il ricorso allo smart working, ha avuto un netto balzo in avanti. Qui ci concentriamo sui volumi indiscutibili, perché invece sulla qualità dovremmo aprire un dibattito serio e acuminato al nostro interno su quello che ogni giorno produciamo tra triste ribalte social, scandaletti ad arte, notizie fuffa, marchette, interesse sociale tendente allo zero e quindi ridotta credibilità della categoria.

Torniamo sulle dinamiche economiche e sulla tenaglia tra inflazione che erode gli stipendi e oggettivo aumento di produzione.

Se ne esce con una duplice proposta, valida per i nostri fratelli maggiori, e naturalmente anche per noi.

Deve partire una stagione di aumenti contrattuali al più presto e gli aumenti non vanno tassati. La contrattazione principale deve tornare la pietra angolare del sindacato. Tutto quello che si riuscirà ad ottenere dal tavolo negoziale deve premiare chi lavora.

Se la produzione è aumentata e concentrata si deve lavorare di meno. Crediamo che non sia più eludibile una proposta che riduca a quattro giorni la presenza al lavoro, ad invarianza di stipendio e con orario settimanale ridotto.

Gli esempi internazionali e soprattutto felici e redditizi anche per le aziende, sono innumerevoli. La produzione digitale deve essere liberata anche riparametrando lo scambio orario tra prestazione e salario, portando più giornalisti nelle redazioni e negoziando la scatola degli algoritmi.

Queste sono due proposte concrete sul quale avviare il dibattito sindacale dei giornalisti per recuperare un protagonismo e un attivismo sindacale che, alla luce del congresso della Uil, può trovare alleati pronti a riconoscere le nostre ragioni e a saldarle con le loro.

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