Stampa Romana, una comunità in cammino. Le sfide future del sindacato del giornalisti

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di Stefano Ferrante

Ritrovare le radici e le ragioni più autentiche del sindacato, impegnarlo su tutti i fronti, sui problemi di una professione che continua a cambiare velocissimamente. Credo che si potrebbe sintetizzare così quello che ha fatto e cercato di fare l’Associazione Stampa Romana negli anni della segreteria di Lazzaro Pappagallo, ma anche quello che il sindacato sarà chiamato a fare nei prossimi anni.


Sono stati anni di concretezza: delle numerosissime vertenze seguite a tutela dei colleghi dentro e fuori le redazioni di agenzie, giornali, uffici stampa, emittenti pubbliche e private; della battaglia (pressoché solitaria) per l’equo compenso dei liberi professionisti nelle aule di giustizia e ai tavoli istituzionali; del sostegno economico ai freelance in difficoltà durante la pandemia; della formazione professionale potenziata; della nuova strada aperta con il Bando europeo che l’Associazione si è aggiudicata, per un progetto con le scuole superiori; della riorganizzazione degli uffici per offrire nuovi servizi agli iscritti.

Sono stati anni di conti in attivo, di ricerca di nuove risorse per assicurare il presente e il futuro del sindacato, messo a dura prova dalla fine dell’Inpgi, la maggiore fonte di finanziamento della Fnsi e delle associazioni regionali della stampa.

Sul nostro ente di previdenza abbiamo parlato il linguaggio della realtà, abbiamo detto ai colleghi come stavano le cose. Mentre, contro l’evidenza dei fatti, i vertici mandavano messaggi rassicuranti sul destino dell’Inpgi in gravissimo passivo, lanciavamo l’allarme. Quando, a dissesto conclamato, si proponevano fantasiose, tardive e punitive soluzioni, con l’illusione di poter sanare tutto con la bacchetta magica, indicavamo nella garanzia pubblica per le nostre pensioni l’unica via percorribile.
Siamo finiti all’Inps, senza, per fortuna, dover sostenere una nuova manovra lacrime e sangue sugli assegni pensionistici presenti e futuri.

Al di là della discutibile gestione del patrimonio e degli investimenti, delle inopportune remunerazioni per pletorici organismi e vertici, l’Inpgi si sarebbe potuto salvare se, negli anni passati, fosse stato eretto un muro di fronte all’abuso dei prepensionamenti da parte degli editori, si fossero riformate con equità le prestazioni, non si fossero firmati contratti collettivi al ribasso che hanno ridotto i contributi versati, in un quadro occupazionale già negativo. L’ente pensionistico dei giornalisti è stato vittima della mancanza di senso della realtà di chi lo ha gestito e ne ha indirizzato le scelte.

Ora l’Inpgi resterà per i lavoratori autonomi (quello che era il cosiddetto Inpgi 2). Sulla base dei versamenti attuali erogherà assegni previdenziali assai magri: chi vive di solo giornalismo si vedrà riconosciuti mediamente duecento euro mensili. E’ per elevare queste pensioni, almeno al livello minimo previsto dall’Inps, che va condotta una battaglia, non certo per replicare apparati costosi a danno degli stessi iscritti.

In questi anni abbiamo cercato con la formazione, quella gratuita e quella a pagamento, fonte trasparente di finanziamento del sindacato, di offrire ai colleghi strumenti per affrontare i cambiamenti della professione, portati dalla tecnologia.

Cambiamenti non solo operativi, di processo, produttivi, organizzativi, ma anche concettuali, che richiedono studio, riflessioni, analisi, che dovrebbero essere alla base della costruzione del prossimo Contratto nazionale di lavoro giornalistico, del dibattito sulla revisione delle stesse norme ordinistiche e su una indispensabile legge di sistema, a salvaguardia dell’informazione tutta.
A partire dal servizio pubblico radiotelevisivo della Rai, ancora penalizzato dalla morsa lottizzatrice e bisognoso di regole a tutela dei giornalisti, della trasparenza delle carriere, con strumenti da migliorare, come il job posting.

Non crediamo che le evoluzioni tecnologiche e la nuova articolazione del mercato dell’informazione debbano portare a una moltiplicazione dei contratti, proprio mentre la “convergenza” dei media chiede un ventaglio ampio e sovrapponibile di capacità, conoscenze e abilità ai giornalisti, indipendentemente dalla testata per la quale lavorano.

Siamo convinti, invece, che le tutele debbano essere rafforzate, i diritti difesi, il precariato combattuto, le retribuzioni aumentate, le disparità, iniziando da quelle salariali tra donne e uomini, giovani e meno giovani, annullate. Crediamo che si debba stare al fianco dei cronisti minacciati dalla criminalità e da ogni poteŕe, continuando la battaglia contro ogni legge bavaglio e perché finalmente si possano arginare le querele temerarie, veri atti intimidatori, ancora più pesanti per i freelance che non godono di alcuna tutela e si assumono i rischi in prima persona.

Il panorama informativo si è gravemente impoverito, il pluralismo ridotto. Tante testate, soprattutto a livello locale, hanno chiuso e tante altre rischiano di farlo. Occorrono risorse e riforme per il settore dei media che chiamano in causa la politica, non sono più rinviabili.
Per ottenere risultati non si può escludere il conflitto, pena un nuovo ripiegamento su tutti i fronti. E per sostenere il conflitto bisogna essere capaci di mobilitazione, su temi alti e concreti, comprensibili e condivisibili.

Ma non c’è condivisione se non c’è il senso di appartenenza a una comunità, che va ricostruito, aumentando le occasioni di partecipazione. In questo senso ci piacerebbe, se toccherà ancora a noi guidare l’Associazione Stampa Romana, lanciare un giornale on line sui temi del lavoro, e non solo su quelli.

Perchè in questi anni ci siamo mossi con indipendenza e autonomia, ma con valori saldi e chiari, quelli della Costituzione ispirata dagli ideali della lotta di Liberazione.

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