RIFORMA ORDINE: UNA NAVE SENZA BUSSOLA

di Lazzaro Pappagallo – Segretario Associazione Stampa Romana

Un paio di giorni fa le mail e le chat di giornalisti appassionati della professione si sono riempite con urla di giubilo o con cinguettii di fastidio per la riforma dell’Ordine.

Fermiamoci al titolo.

Con la riforma si apre l’accesso dalla porta principale agli uffici stampa ai social media manager e alle nuove professioni digitali. Un’apertura che non può non impattare sull’occupazione e sul sindacato e su questi eserciterò qualche riflessione rispettando il lavoro di tutti i colleghi eletti nel Consiglio Nazionale dell’Ordine.

Prima però verifichiamo se il titolo corrisponde a quanto scritto nella delibera.

A CHI È RIVOLTA LA RIFORMA E CHI ESCLUDE

La riforma apre le porte ai colleghi che non lavorano per una testata giornalistica. Devono in modo sistematico, sei mesi prima della domanda che li porterà al praticantato, esercitare una attività sistematica di “produzione giornalistica” fatta di video audio testi e foto pubblicate ovunque dagli uffici stampa al web.

Soffermiamoci su questa prima parte.

La norma dovrebbe così tradursi così, se l’italiano non è un’opinione: DENTRO videomaker, produttori di podcast e blogger. FUORI social media manager, scrittori di codici di algoritmi, creatori di realtà aumentata e virtuale tutto ciò che rientra nel Metaverso.

Videomaker, podcaster e blogger possono infatti autoprodurre e quindi lavorare per se stessi senza necessariamente passare da quella committenza giornalistica incardinata nella testata che assicurava l’ingresso tradizionale nell’ordine.

Secondo una ricerca pubblicata dalla Consulta Uffici stampa di Stampa Romana il 7 per cento degli operatori in quel
settore sarebbe “abusivo”: quindi almeno in teoria la riforma riguarderebbe tra gli addetti stampa solo quel sette per cento di “irregolari” (a proposito: perché non si contesta mai l’esercizio abusivo della professione?)

Restano fuori i social media manager perché questi ultimi non producono notizie in vario formato ma le socializzano, le condividono, le rilanciano, le distribuiscono, tutte attività diverse e distinte dalla PRODUZIONE DI NOTIZIE.

Non rientrano gli scrittori di algoritmi ormai interfaccia continuo del lavoro digitale delle redazioni e non rientrano le spinte più innovative del
Metaverso che certamente arriveranno anche nelle redazioni nazionali.

A questo punto la domanda è: il legislatore ordinistico cosa aveva in mente nel passaggio di riforma? Quale giornalista ha in mente anche sotto un profilo sindacale: un articolo 1, un autonomo classico, un autonomo multifunzionale e multicommittente, un direttore di se stesso?

NON C’È GIORNALISMO SENZA RESPONSABILITÀ

Le domande niente affatto banali e scontate portano al secondo passaggio discutibile. L’assenza di testata nel “riconoscimento” dei colleghi.

Dal nostro angolo di osservazione, da quello di una associazione che ha scelto di stare anche nelle dinamiche europee, è assolutamente chiaro che la difesa della professione nella sua funzione di presidio anti balle (fake news) passi dalla assunzione di responsabilità. Nel nostro ordinamento giuridico la massima responsabilità giuridica passa dalla registrazione di testata, dal direttore responsabile e dalle norme che regolano la stampa e la professione. Inoltre l’ordine o almeno un senso alto dell’Ordine è quello non solo di tutelare gli iscritti e la “corporazione” con gli albi ma anche ascoltare i cittadini (tutta la parte disciplinare) sempre all’interno della tracciabilita’ delle informazioni e della responsabilità professionale ed editoriale. La giurisprudenza degli ultimi anni ha tracciato nette linee di separazione e responsabilità anche penale tra giornalisti e blogger.

Di questo corpus normativo il consiglio nazionale dell’Ordine ha tenuto conto? Lo ha fatto sapendo che questa ambizione legittima di riforma forse non poteva e non doveva tradursi in un atto regolamentare ma in una norma che modifica la legge del 63, inserita nel complessivo contesto normativo rivolto alla categoria?

Così tuteliamo meglio e di più i cittadini?

RETRIBUZIONI CONTRATTUALI

Per iniziare il percorso di praticantato senza testata non basta aver svolto per sei mesi attività giornalistica ma è necessario guadagnare “indicativamente” come un praticante da CNLG con meno di 12 mesi al mimino tabellare lordo.

È giusto utilizzare un chiaro parametro negoziale per avere un aggancio con il mondo del lavoro – mi si consenta, il mondo reale quello che consente a tutti di mangiare, fare la spesa, avere una famiglia o sogni di vita ecc ecc – ma preoccupa quell’avverbio.

Indicativamente che vuol dire? Quanto sarà elastico? Come e da chi verrà interpretato?

TURISMO REGIONALE

La riforma demanda questi casi eccezionali ai singoli ordini regionali. L’ordine regionale dovrà fare l’istruttoria, controllare i sei mesi di attività giornalistica, nominare un tutor (gratuito o a pagamento?) per controllare il percorso successivo di formazione che approda al praticantato e al professionismo.

Anche in questo caso chiedo: gli ordini regionali applicheranno ai casi eccezionali e alle retribuzioni indicative la stessa moneta? O ci sarà chi è più elastico e chi no creando un effetto di “turismo ordinistico” ancora più facilitato dall’assenza di una testata? È possibile che un Ordine possa avere una norma interpretativa applicabile in venti modi diversi sul territorio? È una forma di “autonomia differenziata” in chiave ordinistica? E con quali effetti sul mercato del lavoro della singola regione?

LE DOMANDE E LA BUSSOLA

I personali punti di domanda non devono nascondere l’idea sacrosanta che anche il moloch immobile dell’Ordine debba muoversi per registrare le novità presenti nel mercato del lavoro. Un tema sentitissimo da una associazione che sulla formazione e il riconoscimento delle nuove figure professionali ha speso sei anni di formazione continua, diventando di gran lunga la punta più avanzata del sindacalismo di categoria. Ma, come scriveva ieri benissimo Carlo Picozza, la nave deve essere orientata sentendo tutti a cominciare di chi deve gestire, diciamo, l’andamento dell’occupazione. Perché è fondamentale capire se vogliamo giornalisti dipendenti autonomi, metà e metà, ibridi, giornalisti/non giornalisti. Quindi la bussola deve funzionare e deve indicare la rotta prima di affrontare il mare aperto. Fuor di metafora ci si confronta prima di mettere mano alle regole con un dibattito fortissimo nella categoria e non con provvedimenti tra addetti ai lavori senza adeguato confronto.

CONFRONTO, UNITA’ E FATTI

Se dunque oggi con una inversione a U ci si concentra su forme di accesso alla professione che lasciano da parte lauree, master e scuole di giornalismo che invece erano i canali “moderni” di accesso se ne doveva e se ne dovrebbe parlare in modo approfondito.

A noi risulta che nel consiglio dell’ordine, nella sede deliberante, la fase di voto finale si sia esaurita in 45 minuti, una mezza partita di calcio dopo che in una precedente sessione si voleva archiviare e approvare con gli stessi tempi la questione.

È questo il modo di essere unitari?

Per noi unità significa ascoltare tutti (non per obbligo istituzionale), tener conto del contributo di tutti proprio perché in un momento di così grande torsione e tensione della professione e della categoria nessuno ha in tasca la verità rivelata e ci vuole in campo INTELLIGENZA COLLETTIVA.

Evidentemente la lezione dell’Inpgi non è stata ancora digerita ed elaborata. Proprio il fallimento del salva Inpgi affidato ai comunicatori e delle conseguenti politiche di maggioranza dovrebbe sempre portare a entrare nelle rotatorie e negli svincoli della professione aperti ad ascoltare tutti coloro che possono portare contributi di lucidità intellettuale e concretezza all’orizzonte comune.

Ci arriveremo ma anche questa è una occasione mancata.

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