Il giornalismo sta attraversando una fase di profonde trasformazioni. In molti hanno pensato e pensano che la cosiddetta “disintermediazione” operata dai social media abbia reso inutile il ruolo del giornalista, inteso come professionista dell’informazione. Una tesi che trova riscontri soprattutto in quei segmenti culturali che hanno esaltato a priori i social media e la rete come terreno di libertà e luogo di espressione creativa.
Che la rete sia anche questo non vi è alcun dubbio. Ma è anche altro. Il dibattito sulle parole di odio in rete, sul fake news, sulla violenza sul web, ha ormai raggiunto un livello di maturità che sta portando, lentamente ma costantemente, ad una rivalutazione del mestiere di giornalista inteso come esperto dell’informazione e della gestione delle notizie.
Per cogliere questa nuova opportunità credo che dovremmo muoverci su un binomio: diritti e doveri. Ogni qualvolta rivendichiamo, come giornalisti, i nostri diritti, dovremmo ricordare, a noi e a chi ci rivolgimo, i nostri doveri.
E’ qui veniamo al ruolo dell’Ordine dei giornalisti. La domanda è se serva un ente pubblico che gestisca, secondo legge, il ruolo e il perimetro della professione. A mio avviso la risposta è positiva, purchè l’Ordine sia profondamente rinnovato.
Lo scorso anno c’è stata una riforma. Sembrava poca cosa, ma invece ha segnato una forte discontinuità. Il consiglio nazionale è passato da circa 150 a meno di 60 membri. Un organismo che discute ed entra ne merito dei temi. La ridefinizione del rapporto professionisti/pubblicisti (due a uno) ha ridato centralità a chi pratica questo mestiere, senza nulla togliere alle migliaia di pubblicisti che fanno questo lavoro. E bisogna andare avanti, proponendo una riforma complessiva, che parta dall’accesso, che metta mano a norme antiquate e corporative. Ferme da più di 50 anni.
Il CNOG sta avviando una discussione. Dico sta avviando perché, essendo ente pubblico, il suo cammino è zavorrato da norme e regolamenti capaci di imbrigliare la più tenace volontà riformista. Ma occorre stare attenti. Ogni cosa va fatto col passo giusto, perché l’omissione o l’abuso d’ufficio sono sempre dietro l’angolo.
Ma non è solo una questione di leggi vecchie. C’è anche un problema di regolamenti interni,cavillosi e cervellotici; alcuni di recente emanazione, che non aiutano a tenere il passo. Il Consiglio ha avviato, in parallelo alla riflessione sulla riforma, anche un lavoro su tutti i possibili terreni di “Autorifoma”.
Ci troviamo poi di fronte all’obbligo della Formazione. Ricordiamo che si tratta di un vincolo di legge. Al contrario di altre professioni, i giornalisti non lo avevano. La mia opinione personale è che andrebbe capovolto l’approccio. Se continuiamo a percepire la formazione come un’imposizione allora sarà un fardello che ci trascineremo dietro. Se invece la consideriamo come una opportunità di crescita tutto diventa più facile. Perché credo che nel lavoro che svolgiamo, come nella vita in genere, ci sia sempre da imparare. Ai colleghi top level che guardano all’obbligo formativo come un fastidio dico: usatelo come un modo per trasmettere la vostra esperienza (e fate anche più crediti). Ai colleghi che invece, presi dalle loro attività, tralasciano la formazione, ricordo che quando si decide di appartenere ad una categoria ci si assume delle responsabilità. Ed è allora giusta la decisione del CNOG di sollecitare i Consigli di disciplina a prendere provvedimenti per chi ignora la formazione.
Detto questo credo sia importante lo sforzo dell’Ordine di aumentare l’impegno sulla qualità formazione. La vigilanza viene esercitata a tutto campo, a partire dagli enti terzi. In ogni caso l’Ente pubblico della categoria deve garantire corsi di buon livello che non siano a pagamento.
Sono passati cinque mesi dall’insediamento ma la consiliatura è ancora ai primi passi. E tuttavia mi sembra che su questioni rilevanti come la libertà di informazione, la tutela dei giornalisti minacciati e querelati, il richiamo continuo e costante al rispetto della deontologia (nonostante molti colleghi arriccino il naso) il Consiglio non abbia mancato di far sentire la sua voce. Allo stesso tempo si è sviluppato col sindacato, nel rispetto della reciproche autonomia, un dialogo e una sinergia che mi sembra decisamente utile e proficua. Mi auguro che possa proseguire su obiettivi comuni, non solo nell’interesse della categoria, ma della libertà di informazione sancita dall’art. 21 della Costituzione.