Musk si prende Twitter. Si apre la sfida con l’Europa

di Michele Mezza

Elon Musk vuole comprarsi twitter per tutelare la sua libertà non quella degli altri. Con questa sfolgorante battuta Robert Reich il prestigioso filoso americano che fu anche ministro del lavoro di Clinton, ha bollato l’ultima impresa dell’uomo più ricco del mondo.

L’acquisto dell’uccellino rappresenta effettivamente forse il più crudo e inesorabile simbolo di quello che si annuncia come l’unico dopoguerra peggiore della guerra.

Siamo in uno snodo politico e tecnologico storico, in cui quella che abbiamo conosciuto come l’età del sapere universale, in cui si comunicava da un punto all’altro del pianeta con la naturalezza con cui si respirava, si sta risolvendo in un autunno freddo e ostico, in cui le frontiere prevarranno sui linguaggi e l’informazione diverrà un sistema d’arma con cui si misureranno gli stati.

L’Invasione dell’Ucraina ha resettato l’infosfera, retrocedendo la cultura della rete a logistica militare. Proprio Elon Musk , con la prontezza di chi coglie l’opportunità che aspettava da tempo, si è subito arruolato in questo terribile video game , mettendo in campoo la sua flotta di circa 18 mila satelliti che , abbiamo scoperto, scannerizzano ogni tratto della superficie terrestre. Spacelink, la società spaziale del magnate che insieme a SpaceX guida la privatizzazione del cielo, è oggi forse l’alleato più rilevante di Kiev nella resistenza contro l’armata russa. Un credito che Musk ha subito messo all’incasso, con il suo take over su Twitter, il più grande spazio di scambio di notizie del pianeta. Proprio nel conflitto ucraino Twitter si è guadagnato i galloni di agenzia giornalistica globale, dove le notizie vengono ruminate e testate per diventare poi informazione accreditata.

Sono circa  5 Milioni fra giornalisti ed operatori professionali gli autori che tutti i giorni pompano centinaia di milioni di tweet, determinando un frenetico e permanente ritmo in real time dell’informazione, che sfugge, proprio per questa velocità siderale, a qualsiasi controllo umano, e rende indispensabili gli interventi degli agenti intelligenti per mettere ordine in questo caos.

Già nel lontano 1994, Paul Viriliò parlava di militarizzazione del cyberspazio mediante la velocità, lui la chiamava la dromologia del potere, che metteva fuori gioco l’artigianato professionale dei giornalisti.

Oggi siamo arrivati all’epilogo di questa mediamorfosi, con un circuito in cui sistemi intelligenti, nel caso dell’Ucraina, i satelliti e i droni di Elon Musk raccolgono e selezionano i big data, che vengono poi riversati sulle piattaforme in quantità e con un ritmo tali che solo altri agenti sistemi di intelligenza artificiale possno decrittare il senso e la pertinenza di questi flussi alluvionali.

Al centro di questo gorgo il proprietario degli algoritmi che governano gli occhi e le orecchie del mondo. A Elon Musk, che  già combinava la sensoristica delle auto, per programmare la guida automatica della Tesla, con il sistema satellitare, per georeferenziare ogni movimento sulla superficie terrestre, alle bio tecnologie neurali, per sviluppare microchip neurologici proposti come unica cura all’Alzheimer, solo un ambiente dove le informazioni da brusio diventassero materia prima delle nostre relazioni sociali. Twitter ha questa missione. 

Ovviamente, come sempre nella storia della digitalizzazione, ogni torsione autoritaria viene presentata come una rivendicazione di libertà. Questo fece Bill gates con la sua celeberrima lettera con cui nel 1976 decretà la privatizzazione del software, che fino ad allora era bene comune. Questo ribadì nel 1984 Steve Jobs quando trasformò il personal computer che Adriano Olivetti aveva ideato come uno strumento di emancipazione degli individui, in una gabbia della creatività, costruendo la cassetta degli attrezzi del nostro pensiero quale è il desk con le icone della Apple.

Ancora libertà era la bandiera di Larry page e Serghey brin quando si proposero, oggi scopriamo con un aiuto fondamentale del Pentagono e del  Dipartimento di stato americano, di infilare tutto il sapere conosciuto in un solo algoritmo. Non Solo Libertà ma anche bontà: don’t be devil, fu lo slogan di Google. E subito dopo arrivò Mark Zuckerberg a dirci che potevano parlare con la ragazza e il ragazzo che più ci attraeva, e poi anche con l’amico più intrigante ed infine con qualsiasi essere umano con cui volevamo scambiare esperienze o pensieri: eravamo liberi di fare tutto questo, purchè lo facessimo su facebook e gli regalassimo quegli inutili, frivoli e pedanti dati del momento.

E poi arrivano le app relazionali, e quelle immaginifiche e quelle creative e ancora quelle di servizio. Tutte libere, tutte dedicate, anzi, come scrive nel suo libro Mercanti di verità Jill Abramson , tutte abbinate ad ognuno di noi. Talmente abbinate, talmente personalizzate, talmente telepatiche che ancora ci chiediamo come sia possibile che ci precedano nei desideri e delle decisioni, quasi che ci costringano ad aderire ai loro desideri e alle loro decisioni. Quasi.

Ora siamo ad un altro giro di giostra: tutto deve cambiare perche nulla cambi, verrebbe da dire se la citazione non suonasse demodè.

Elon Musk vuole più libertà: basta con queste reminiscenze di regole e vincoli, basta con questa morale d’accatto, che comprime e ottunde. Per non incrociare qualche parolaccia di troppo o qualche insulto organizzato, rinunciamo al rinascimento di una creatività globale che non possiamo esorcizza.

Il nuovo Twitter sarà più libero, più istintivo, più emotivo. Magari anche più crudo ma più vero, più simile a come vorremmo essere, a come crediamo di poter essere. Magari così metteremo in mostra la nostra vera natura, i nostri veri desideri, i dati più reconditi. E qui si giocherà la partita. IL magnate della Tesla mira a rendere twitter il citofono del pianeta, almeno un miliardo di nuovi utenti: oggi sono circa 220 milioni.

Per fare questo bisogna però sbaraccare il campo dalle intrusioni burocratiche, è il termine usato da Elon Musk: si riferisce alle nuove norme appena approvate dall’Unione Europea, come il Digital Service Act e il prossimo Digital market Act. Sono norme efficaci, che colpiscono al cuore il monopolio, costringendo ad aprire lo scrigno degli algoritmi. Rispetto a chi rideva sollo qualche anno fa sulla richiesta di negoziare i sistemi di calcolo, la Comunità Europea oggi impone proprio questo: chiunque sia titolare di grandi piattaforme, come Twitter, deve rendere trasparenti sia gli algoritmi che utilizza, soprattutto quando li cambia, e il libertario Musk ne vuole cambiare parecchi, sia il flusso di dati che vengono combinati fra loro per profilare gli utenti. Si coglie qui il primo centro di attrito fra l’impero di Musk e l’Europa: i data base dovranno rimanere separati, ogni ibridazione dovrà essere preventivamente annunciata, ogni dato dovrà risiedere nel paese in cui è raccolto.

Si annunciano contrasti. Elon Musk minaccia di marciare sui palazzi del potere.Non credo per conquistarlo, ma per piegarlo: non vuole fare il presidente, vuole assumere i vertici europei e americani. Il suo obbiettivo è esattamente quello di sempre: usare lle frontiere della tecnologie per impiantarvi il proprio dominio. Dallo spazio al giornalismo.

Ma non bastano le regole europee. Questa volta giornalisti, ricercatori, città e università devono scendere in campo direttamente. Bisogna colpire al cuore il mostro che sta prendendo forma. Elon Musk pensa ad una libertà verticale, che si dipana dalla piattaforma e permette all’individuo di fare tutto quello che vuolle dentro i confini della sua piattaforma. Ora noi dobbiamo invece brandire la bandiera della libertà orizzontale: twitter è un ponte non un recinto, un punto di passaggio, una piazza dove ci si incontra non un condominio dove si è reclusi. Per questo dobbiamo pretendere riprogrammazione degli algoritmi e interoperabillità dei servizi. Da Twitter a telegram a Tik Tok, ogni cittadino deve spostarsi senza limiti, trasferendo i propri dati e usando le risorse tecnologiche senza entrare ed uscire ma comunicando, da un ambiente all’altro.

In particolare la partita spetta proprio ai giornalisti, a chiunque oggi svolga questa funzione pubblica di dare un senso e una giustificazione alle informazioni. Sono loro che devono dare un’anima all’inevitabile torsione tencologica. Nei prossimi anni avremo più droni, più software, più intelligenza artificiale. Avremo persino più bot che compileranno flussi di informazioni. Ma dovremo avere anche più artigianato etico, più mesteire critico, più riprogrammazione dell’inevitabile, più rivisitazione dell’efficiente. I sistemi editoriali, gli apparati virtuali, quel metaverso che si annuncia nelle nostre redazioni dovrà essere un campo di battaglia per ottenere di più dalle notizie . Questa volta dovremo cambiare quel tanto che faccia cambiare tutto: i saperi, le professioni, i contratti, il mestiere. Proprio per non cambiare l’onestà e la trasparenza di questa inevitabile attività

Elon Musk ha ragione: ci vuole più liberta e meno lacciuoli, sia burocratici che proprietari. Basta con questi muri. Ce ne saranno fin troppi dopo la guerra: l’occidente sia davvero il regno dell’autodeterminazione, dei popoli e degli individui. Sia il luogo in cui sappiamo da dove viene una notizia, chi ha scritto quel reportage, dove è stato girato quel video. Dobbiamo essere pedantemente il posto dove le 5 w famose del giornalismo, anche incontrando la sesta, while, non smettano di scandire le inesorabili domande : chi? Cosa? Quando? Dove? e soprattutto perché?

E forse perfino Elon Musk potrebbe alla fine chiedersi ma perché ho comprato Twitter?

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