Un sindacato deludente che deve cambiare passo e metodi

di Simone MassettiDirettore responsabile Nexus New Times (Ed. italiana) e di Economie Parallele. Responsabile comunicazione FederItaly

Il comportamento attuale è deludente e ha prodotto un solo risultato: fatto disamorare e nauseato centinaia di colleghi

Con orgoglio e profondo spirito di servizio verso qualunque collega – dal più famoso al giovane che inizia oggi stesso – ho inteso accettare la candidatura per le imminenti elezioni dei Delegati al X Congresso ASR (Associazione Stampa Romana), nella lista di INFORMAZIONE@FUTURO (lista Professionali), rappresentando al contempo la componente ‘Senza Bavaglio’ nel LAZIO.

Perché enormi i problemi della categoria – per contrattualizzati, autonomi, pensionati – che richiedono con urgenza soluzioni, idee nuove, energia ed impegno, confronti serrati, cambiamenti, trasparenza. Ma non “solo a chiacchere”, perché non bastano né peraltro sono mai bastate.

Va cambiato passo, approccio, metodo.

E per farlo serve innanzitutto visione, condivisione di valori, risposte puntuali, chiare, programmazione. E dinamismo operativo. 

Fare Sindacato” significa – in primis – assumersi la responsabilità di metterci la faccia e saper ascoltare ed aiutare ogni collega nell’affrontare i problemi, i dubbi e le necessità, d’ogni ordine e grado. Troppi i settarismi, le correnti, i personalismi, i silenzi, le omissioni, le ‘storture’ normative (e statutarie) ad oggi ancora presenti in tutti gli organismi ed enti di categoria.

Che hanno prodotto un solo risultato: fatto disamorare e nauseato centinaia di colleghi d’ogni età e condizione e diviso, invece di unire, moltissimi tra coloro che invece dovrebbero alzarsi ogni mattina con la fierezza – l’orgoglio e la piena, consapevole certezza – d’esercitare la professione più gratificante del mondo sapendo d’essere realmente supportati mentre con impegno, fatica, spesso rinunce – per loro stessi, i loro affetti e familiari – provano a raccontare al loro meglio la realtà.

Con le doverose differenze, naturalmente, ma indipendentemente che si trovino a farlo da una scrivania o dietro un cellulare nella più sperduta località se non addirittura in un teatro di guerra.

Perché “Essere giornalisti” – no, la “E” maiuscola non è un refuso – ci si nasce o si sceglie, un giorno della propria esistenza, e si perseguirà per tutta la vita in ogni momento e in molteplici forme, al pari di altre “missioni interiori”. Ed è invero irrilevante se non tutti coloro che s’incontreranno lo comprenderanno realmente. Ma accade, solo se lo si sente – e lo si è  davvero.

“fare i giornalisti” (f, minuscola) è invece ben diverso. Non basta “saper scrivere bene” (quello, al limite, lo può imparare addirittura un algoritmo…), saper usare un social media o una telecamera, o imparare quali siano le giuste leve politiche per ottenere prebende, poltrone, applausi. Eppure, molti non si rendono nemmeno conto di quanto abissale sia la differenza tra le due locuzioni e le declamano o usano quali sinonimi (o fanno finta d’esserselo dimenticato, au contrair, sapendolo perfettamente).

Ecco perché ogni singolo voto di un collega – anche in questo appuntamento elettorale di categoria percepito come maggiormente “tecnico-sindacale” – invece, conta.

Perché recuperare “autorevolezza interna” a beneficio dell’intera categoria – dimostrandolo parimenti “esternamente” a tutti coloro che fruiscono dell’Informazione per diritto naturale e costituzionale, non va mai dimenticato – essendo in grado d’invertire un trend “al ribasso”, plastica espressione della temperie in cui viviamo, è un dovere irrinunciabile.

Solo così si potranno traguardare limiti, superare faziosità, eradicare la terribile (e falsa, se non per pochissimi) percezione di “casta” nell’opinione pubblica con cui spesso si viene etichettati, riavvicinare i colleghi al ‘Sindacato’. No, anche questa “S” maiuscola non è un refuso.

E, al riguardo, “unitario” è aggettivo che non ha più alcun senso. Ma proprio per questo la responsabilità ‘di girarsi dall’altra parte e lasciar fare’ non possiamo più permetterci di affidarla a chi – da anni – non ha davvero concretamente quale primo obiettivo il benessere dei colleghi tutti, ma solo il proprio.

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